Recensione del film The Price
Cinema / Recensione - 07 December 2017 08:00
The Price è il film di Anthony Onah ben accolto dalla critica. Mauxa l’ha visto in anteprima.\r\n\r\n
The Price è il film di Anthony Onah uscito in questi giorni negli Stati Uniti.
\r\nSeyi (Aml Ameen, "The Maze Runner") è un giovane nigeriano-americano che lavora a Wall Street. Deve alternare la sua vita statunitense con una famiglia ancorata alle proprie tradizioni: la madre si muove in casa con abiti tipici africani, mentre lui cerca di evadere da questa provenienza.
\r\nIncontra Liz Sloane (Lucy Griffiths) una donna bianca e le chiede di uscire. La relazione che dovrebbe essere romantica diviene turbolenta, sia perché lei è fidanzata che per la complessità culturale da cui lui proviene, con dettami e regole implicite che Seyi finge di non voler vedere. Suo padre soffre degli effetti collaterali di un ictus, la madre lo rimprovera di non contribuire abbastanza al mantenimento.
\r\nSeyi spera in un rapido cambiamento: ma lui è l’unica persona di colore nell’ufficio, e viene coinvolto in un traffico commercio di informazioni. Comincia a ricorrere a tattiche illegali per migliorare il suo profilo in azienda, minando anche il rapporto con Liz.
\r\nSe i cliché spesso sovraccaricano il film, dall’altra parte la narrazione di Anthony Onah è lineare e sincera: il passaggio di Seyi dalla legalità alla sottile menzogna è così poco percepibile da lui, che quasi si auto-indulge in ciò che sta compiendo.
\r\nSeyi in questo percorso non imbroglia per avere uno aumento di carriera, ma per rimanere in equilibrio, e la macchina da presa quasi sempre fissa su di lui fatica a trovare delle alternative. Quelle stesse che neanche Seyi sa scegliere, perché in balìa di una società che non presenza opzioni.
\r\nLa carenza del film è quella di mostrare l’evoluzione di Seyi, o la sua involuzione: in nessuno dei due casi Seyi riesce ad esprimere con azioni la propria preoccupazione, quasi oscillando in una noncuranza forzata. Una tecnica usata anche in un recente film, "Most Beautiful Island" (leggi la recensione) in cui la protagonista immigrata ispanica entra in un vortice pericoloso.
\r\nLa critica ha apprezzato soprattutto la possibilità di mostrare come vivere negli Stati Uniti sia una negoziazione senza fine tra chi sei e chi potresti diventare (Indiewire), con il regista che non si preoccupa di rendere Seyi “magico”, non potendo essere scusato per come scende nella corruzione (RogerEbert.com)
\r\nMentre la trama procede si avverte con precisione come il regista voglia mostrare quanto sia impossibile far dialogare due culture opposte, e che per quanta fatica si metta nel cercare di creare una connessione, essa sarà sempre distorta. Infatti solo alla fine il protagonista riesce a rinvenire ad una sorta di tranquillità, che non a caso esula dalla presenza negli Stati Uniti.
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