Recensione del film Smetto quando voglio - Masterclass
Cinema / Recensione - 01 February 2017 07:30
Sydney Sibilia torna al cinema con il sequel di "Smetto quando voglio"
Smetto quando voglio - Masterclass è il film commedia di Sydney Sibilia con Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero de Rienzo, Stefano Fresi.
Il film comincia dove era terminato quello del 2014, con l’arresto della banda di ricercatori universitari disoccupati ora arrestati per vari reati, primo fa tutti associazione a delinquere motivata dall’immissione sul mercato di una sostanza creata chimicamente e che si rivela stupefacente.
Così i disoccupati vivono in una bolla precaria: Pietro Zinni (Leo) - il leader della banda - ama stare in carcere perché riceve un piccolo fisso mensile che la compagna usa per vivere, Giulio Bolle (Marco Bonini) laureato in anatomia umana fa incontri clandestini di Thai Boxe a Bangkok. “Giusto qualche scontro, ma solo sulle modalità di costruzione delle madonne”, dice Alberto Petroli (Stefano Fresi) a Pietro: lui è laureato in chimica computazionale ed è finito in un centro rehab per sfruttamento della prostituzione e guida in stato di alterazione psico fisica. Ora scolpisce le statue delle madonne e approfitta dell’invito di Pietro a redimersi. Infatti l’ispettore di Polizia Paola Coletti (Greta Scarano) offre ai detenuti la possibilità di uscire per creare una squadra - oltre la Legge - che debelli le smart drugs in circolo.
Tutti acconsentono, e in un clima tra “Guardie e ladri” (1951) e “I soliti ignoti” (1958) di Mario Monicelli con Totò essi si trovano di sera davanti al cancello dei confezionatori delle smart drugs. “Entriamo e li impossibilitiamo a proseguire”, impone Pietro Zinni, neurobiologo. ”Impossibilitiamo a proseguire è un concetto abbastanza nebuloso”, risponde Mattia Argeri (Valerio Apreaì) laureato in semiotica interpretativa ed epigrafia latina. “Col ca**o che dico ‘Fermi tutti, Polizia’: io queste frasi di estrema destra non le dico”, chiosa Bartolomeo Bonelli (Libero Di Rienzo) laureato in Macroeconomia Dinamica.
Il film prosegue quindi con le possibilità di debellare la banda confezionatrice di smart drugs tra la distruzione di Villa Adriana con il furgone, rissa sul treno merci, ralenti accurati durante un incidente stradale. Le attese per un sequel sono maggiori rispetto all’originale, ma dove il film lesina in sceneggiatura guadagna in aspetti formali, come la scenografia psichedelica di Alessandro Vannucci, la fotografia sovraesposta di Vladan Radovic. E anche la regia è più consapevole, tanto che in alcuni momenti permette più immedesimazione di quanto la storia non sappia fare: basti pensare alla scena in cui Lucio Napoli (Giampaolo Morelli) in una baracca del Laos cerca di vendere mine antiuomo ad improbabili astanti. Poiché la dimostrazione delle mine fallisce, viene portato fuori, sotto la pioggia per essere giustiziato. L’inquadratura lo riprende da lontano, quasi con segno di rispetto ma al contempo ricrea echi di altri film bellici, nonché una divisione dello spazio meticolosa che trascina lo spettatore.
Ciò che il regista Sibilia racconta è che l’indole a delinquere, seppure mascherata da progetti di business non viene meno. E nemmeno lo Stato può risparmiarla, tanto che agevola la scarcerazione.
Senza contare che dal punto di vista produttivo il film rappresenta un raro caso di sequel in Italia: il film del 2014 incassò 4.004.000 milioni di euro. E in una situazione in cui tra i primi dieci film nella classifica italiana c’è solo un film nostrano (“L’ora legale di Ficarra e Picone”), fa ben sperare che si raddoppi.
Sibilia riesce ad uscire anche da una vicenda localistica - come in molte recenti commedie italiane - per raccontare un disagio più generale, l’impossibilità di trovare nella società lavorativa attuale una congruenza tra quanto si è studiato, e l’applicazione delle proprie competenze. Quasi a ricordare che dopo anni di studio, l’esito è il carcere. A meno che non si voglia deviare dalle proprie inclinazioni, ipotesi che i protagonisti del film abominano.
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