Recensione del film Qua la zampa!

Cinema / Recensione - 19 January 2017 07:30

"Qua la zampa!" è il film con Dennis Quaid, Britt Robertson e K.J. Apa. Un cane è il protagonista.

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Qua la zampa! (“A Dog's Purpose”) è il film di Lasse Hallström con Dennis Quaid, Britt Robertson e K.J. Apa.

Nel 1962 Ethan Montgomery (Bryce Gheisar) e sua madre (Juliet Rylance) salvano un cucciolo di Golden Retriever ferito e abbandonato. Il cucciolo viene adottato, e il diversivo che porta nella casa è quello di un’eterna presenza.

Il padre di Ethan all’inizio è titubante, soprattutto quando Bailey ingoia una moneta preziosa e il figlio spera che esca nei bisogni. Finora la storia è solo quella di un racconto di amicizia tra uomini e animali, come anche in “Hachiko” (2009) o “Io e Marley” (2008). Ma è da questo momento che il film assume quella forma tornita che lo rende affilato. Ethan cresce, Bailey muore e quello che potrebbe sembrare un ricordo che il tempo smorza in realtà si ripresenta. Infatti Bailey si reincarna in Ellie, Pastore Tedesco paramedico del Dipartimento di Polizia di Chicago.

Bailey si ripresenta poi in un corgi chiamato Tino, poi in un incrocio di pastore australiano e san bernardo chiamato Buddy. Si incontra così di nuovo con Ethan, anche se il suo scopo non è più allietare una famiglia ma servire alla comunità.

Nella sceneggiatura non c’è una motivazione per cui Bailey s’incarni, e proprio questa mancanza è la forza della storia. Seminando ipotesi che vanno dalla religione orientale a quella animista.

È la semplice possibilità che un’affetto per sempre perduto resti infruscato in noi a sancire la forza del film, come solo Lasse Hallström sa fare. In “Chocolat” (2000) raccontava come il trasferimento della giovane Vianne nel paesino di Lasquenet per aprire una cioccolateria modifichi le tradizioni del luogo. “Il vento irrequieto del Nord non era ancora soddisfatto. Parlò a Vianne di paesi ancora da visitare”, si raconta nel film.

La chiarezza della vicenda di “Qua la zampa!” era possibile solo se fosse stata vissuta realmente: infatti il film è tratto dal romanzo di W. Bruce Cameron “Dalla Parte di Bailey”, che a sua volta è ispirato ad un fatto accaduto. Lo scrittore vedeva la moglie soffrire per la morte del cane: “stavo male per lei”, ha confessato mentre guidava lungo la costa della California. Finché emerse l’idea di un cane che in realtà non muore ma rinasce, alitando la possibilità che potrebbe esserci qualche scopo per cui questo stia accadendo.

E questa limpidezza è ciò che maggiormente colpisce nel film, parlando anche - per simbologia - della onnipresente presenza delle persone care, sia essa nella memoria o in un gesto che ritroviamo che ce le fa riportare.

La produzione è della Amblin Entertainment, settore della DreamWorks che sviluppa storie che abbiano immediato impatto emotivo. Basti pensare a “Amistad” (1997), “Le avventure di Tintin” (2011), “Il GGG - Il grande gigante gentile” (2016). Hallström aveva già lavorato con loro in “Amore, cucina e curry”, ma qui deve gestire delle presenze animali.

Anche l’efficacia del realismo del cane protagonista nasce dalla semplicità. Infatti il regista li ha fatti improvvisare: sono 4 i cani usati nel film, e tutti sono stati addestrati in maniera essenziale, tanto da potere poi interagire con gli attori.

L’interpretazione di Dennis Quaid è matura e al contempo ingenua, rende onore ad un film che diviene un moderno fabulare.

© Riproduzione riservata



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