Recensione del film ‘Detroit’

Cinema / Recensione - 22 November 2017 08:00

“Detroit” è il film di Kathryn Bigelow tratto da una storia vera\r\n\r\n

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Film James Bond - Agente 007 - Licenza di uccidere

Detroit è il film di Kathryn Bigelow con Will Poulter, Hannah Murray, Jack Reyno.

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Il 23 luglio 1967, la polizia di Detroit inscena un raid in un club senza licenza durante una celebrazione per il ritorno di veterani neri. Mentre i sospettati vengono arrestati, una folla inizia a lanciare sassi contro gli ufficiali prima di saccheggiare i negozi vicini e di appiccare incendi.

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Il governatore George W. Romney autorizza la Guardia nazionale del Michigan e i paracadutisti dell’esercito ad entrare a Detroit per sedare le rivolte, il poliziotto Philip Krauss (Will Poulter) uccide un uomo con un fucile contro gli ordini. Krauss rimane in servizio attivo, mentre i superiori devono decidere su come far evolvere la vicenda.

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A questo aspetto sociale se ne unisce uno professionale, con un gruppo musicale R & B, The Dramatics che giunge a Detroit sperando di ottenere un contratto discografico. Ma la polizia ha chiuso il locale in cui dovrebbero esibirsi, e l’autobus della band è attaccato dai rivoltosi. Due membri della band - Larry Reed e Fred Temple - affittano una stanza per la notte. Qui incontrano due ragazze bianche, Julie Ann (Hannah Murray) e Karen, che gli presentano due loro amici, Carl Cooper e Aubrey Pollard.

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La prima parte del fil “Detroit” è quasi documentarista, perché deve restituire il clamore che poi i media amplieranno, rendendo l’episodio uno dei più feroci nella storia del ‘900 e dei più efferati per quanto riguarda l’abuso di potere. Infatti i poliziotti agiscono senza regole, divenendo subito i colpevoli mentre i rivoltosi sono i perseguitati: Kathryn Bigelow riesce subito a catapultare le prospettive, facendo agire le forze dell’ordine come in preda ad un sussulto animalesco, con persone in divisa che vanno a caccia di neri.

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Avere affidato il ruolo del poliziotto persecutore Philip Krauss ad un attore giovane come Will Poulter (“Maze Runner - Il labirinto”, “Revenant”) rende ancora più goliardico il gioco, quasi che sia una scommessa a chi uccide più persone di colore.

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Philip Krauss si macchierà di altri delitti, tutti celati anche se una guardia di sicurezza privata, Melvin Dismukes (John Boyega) tenta di scoprire la verità.

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La Bigelow ribaltare il punto di vista dopo “The Hurt Loker”, dove i soldati erano ligi al proprio dovere e per questo ne venivano assillati. Qui non c’è una giustizia, bensì ognuno più agire in questo contesto senza punti di riferimento. La stessa vittima consacrata è indifesa, una donna: Julie Ann (Hannah Murray) che con l’amica incontrò i membri della band musicale all’inizio, e che poi per paura si spostò in un’altra stanza. In un mondo di violenza maschile, è lei l’unica presenza umana che può riscattare tale infamia.

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Agli scontri di Detroit del 1967 furono 40 le vittime, alcune morirono sul filo dell’alta tensione mentre cercavano di spegnere un incendio appiccato dai rivoltosi, altri asfissiati. Uno fu scambiato per un cecchino e colpito dalla Guardia Nazionale. La violenza è la stessa che appare in un altro film uscito di recente, “The Force” di Peter Nicks (leggi la recensione) dove si racconta la violenza della Polizia di Oakland famosa per la sua cattiva condotta e scandali, dato che nel 2003 il dipartimento versò 10,9 milioni di dollari a 119 civili, dopo aver perso la causa per maltrattamenti.

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In “Detroit” Kathryn Bigelow condensa con una debordante misura la fame da aguzzino in Philip Krauss, che diviene così il detentore di un atteggiamenti nazista che difficilmente verrà punito: quando nelle lunga sequenza centrale mette di spalle i rivoltosi, non c’è differenza tra lui e chi condanna ad un plotone di esecuzione.

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