Recensione del film La tartaruga rossa

Cinema / Recensione - 28 March 2017 07:30

"La tartaruga rossa" è il film di Michael Dudok realizzato to dallo Studio Ghibli.

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Film Joe Bell - video

La tartaruga rossa (“La tortue rouge”) è il film d'animazione di Michael Dudok realizzato dallo Studio Ghibli. La sceneggiatura è di Michael Dudok de Wit, con adattamento di Pascale Ferran. Isao Takahata è il produttore esecutivo.

Il film ripercorre la vita di un uomo, dal momento in cui giunge su un’isola come naufrago a quando decide di restare.

Infatti è proprio questo il dubbio che il film propone: se dopo essere rimasti in un luogo ostile per anni, l’uomo possa esserne conquistato. Questo empatia verso l’isola è catalizzata dalla presenza di una donna, che in realtà inizialmente era una tartaruga rossa, spiaggiata. L’uomo dopo aver maltrattata e poi curata, una mattina scopre che è divenuta una donna: con lei comincia ad apprezzare l’isola, le intemperie, fino a concepire un figlio.

Da questo momento emerge un altro tema, raro nei film d’animazione da scopi più commerciali. Un famiglia può essere cresciuta in un territorio ostile, senza i benefici della modernità, ma solo con la forza della condivisione? I tre infatti non parlano mai, e i dialoghi sono assenti in tutto il film: ma nonostante ciò non un momento di tedio traspare nella narrazione, creata an

che con anni di lavoro da parte del regista con lo sceneggiatore Pascale Ferran. “Ciascun capitolo narrava nella parte centrale un solo evento, la tempesta, la scoperta dell'isola o i primi tentativi di lasciarla - dice Ferran - si svolgeva, a seconda dei casi, nell'arco di qualche ora o di numerose settimane, dunque in base a una struttura molto particolare”.

Un altro aspetto de “La tartaruga rossa” è quello del mistero della trasformazione: la tartaruga si tramuta in donna senza un motivo. E lo spettatore non pone troppi interrogativi su questo passaggio, relegato ad un momento quasi religioso e mistico. Un’esigenza che in film simili, come il recente “Oceania” (2017) della Disney non sarebbe accettato, tanto ogni passaggio necessità di una spiegazione che tranquillizzi il giovane spettatore.

Il film non manca neanche di azione, avendo alternato i momenti di tenacia del protagonista con continue trovare ironiche, come quella dei piccoli granchi che cercano di rubare il cibo e o usare le chele per scherzare. E il regista Michael Dudok pare anche ben conoscere le codifiche del cinema muto, in cui ad ogni azione seguiva una reazione immediata. Lui stesso per comprendere le dinamiche della vita solitaria in un’isola è andato per dieci giorni in un’isola dell’arcipelago delle Seychelles, alloggiando a casa di un abitante. Così passeggiando ha raccolto migliaia di foto, provando la medesima avversione del protagonista per quel luogo, volendo tornare a casa perché l'isola non è accogliente, tra solitudine estrema, pioggia, insetti.

Quando fu contattato dallo Studio Ghibli, al regista fu assicurato che avrebbe lavorato sotto la legislazione francese, nel rispetto del diritto d’autore, evitando ciò che è accaduto ai colleghi che sono tornati dalla California con il progetto stravolto dai produttori. Michael Dudok ha diretto il corto animato “The Monk and the Fish” (1994), mentre “Father and Daughter” (2001) ha vinto l’Oscar: anche qui una figlia vuole rivedere il padre, e il soprannaturale aiuta il desiderio. In “La tartaruga rossa” l’idea di un naufrago che non sopravvive in un’isola - come in “Cast Away” (2000) di Robert Zemeckis - ma comprende come fondare una nuova umanità era l’aspetto che Dudok desiderava raccontare.

La tartaruga - simbolo anche della longevità e della concentrazione possibile nel proprio guscio - è il sollievo finale del protagonista, ciò che gli permette di desiderare di rimanere. La tartaruga è pacifica e calma, senza esigenze di velocità o fragore. È la riscoperta che l’uomo fa della percezione delle cose.

© Riproduzione riservata



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