Recensione del film Il tuo ultimo sguardo

Cinema / Recensione - 29 June 2017 08:00

Il tuo ultimo sguardo è il film di Sean Penn sul dramma dei rifugiati in Africa: nel cast ci sono Javier Bardem e Charlize Theron.

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Il tuo ultimo sguardo (“The Last Face”) è il film drammatico nelle sale di Sean Penn con Javier Bardem, Charlize Theron, Adèle Exarchopoulos e Jean Reno.

Wren Petersen (Charlize Theron) è un medico e attivista che lavora nell’Africa occidentale con l'organizzazione Doctors of the World. L’ente - che esiste realmente - è stato fondato dallo stesso padre di Wren molti anni prima. Wren vive tra molte difficoltà, non solo psicologiche ma anche fisiche. Nel luogo in cui abita ci sono spesso attacchi di ribelli, e lei deve formare aiutare i feriti nonché formare i giovani.

In questo ambiente fuori dalle convenzioni e dalle comodità occidentali si inserisce Miguel Leon (Javier Bardem), un chirurgo esperto nelle prime cure, come assistere persone ferite, recarsi nei luoghi più impervi.

Il film vira spesso verso il tono documentaristico, mostrando scene proprie del genere. Come quella dell’assalto notturno pervaso da una fotografia rossa, le inquadrature in dettaglio dei millepiedi, il volto struccato di Charlize Theron mentre assiste bambini affamati.

Quello che potrebbe essere il maggiore difetto, ossia mostrare con poca empatia una situazione sociale, in realtà è anche uno degli scopi del film. Lo stesso Sean ha lavorato come regista a film che avevano motivi edificanti, com “Into the Wild - Nelle terre selvagge” (2007) in cui si propugnava l’abbandono della vita capitalistica a favore di quella verso l’Alaska.

Se per decenni i governi hanno creato ricchezze minerarie in Africa, scatenando guerre civili e creando zone di conflitto, questa situazione non poteva che essere mostrata con questa regia incauta. La storia d'amore tra Migue e Wren - i due s’innamorano in maniera blanda - scende in secondo piano, tanto che il titolo originale del film, “The last face” lascia anche immaginare che “l’ultimo viso” non sia quello i uno degli attori, ma quello dei membri delle popolazioni.

In Africa centinaia di migliaia di persone sono state massacrate durante i colpi di Stato militari, con violazioni dei diritti umani: per rappresentare questo dramma la scelta di due medici era essenziale, pur se si poteva eliminare una storia romantica che a sceneggiatura inoltrata diviene superflua. Essa stride con i civili che - costretti a fuggire a causa dei ribelli che seminano il terrore - hanno raggiunto la cifra di 9 milioni di rifugiati. E che l’Europa ospita tuttora.

In maniera paradossale il film è più attuale ora di quanto non lo fosse quando la sceneggiatrice Erin Dignam lo scrisse nel 2014. Infatti l’attenzione sul problema dei rifugiati è uno degli aspetti su cui il regista insiste, tanto da realizzare l’ambientazione nella vegetazione lussureggiante e costruito un campo profughi che avrebbe dovuto far comprendere allo spettatore la vastità del problema. Il campo profughi poteva ospitare fino 25.000 persone, e nelle scene di massa erano presenti oltre 1000 comparse, su un totale di 8500 presenti nel film.

La voce fuori campo di Wren Petersen che racconta la realtà presente può sembrare stucchevole ma è funzionale ad un racconto che Sean Pean aspirava a far diventare epico, con tanto di nascita di un neonato in una situazione estrema. Una voce non più ridondate di quella dei recenti film di Terrence Malick, dove invece essa serve proprio per costruire la storia.

Le riprese si sono svolte tra Sierra Leone e Liberia, Sud Sudan e Sudafrica - a Città del Capo – dove è nata Wren, ricreando anche un villaggio. Una perizia scenografica che non è bastato a far approvare il film alla stampa statunitense, che lo ha accusato di essersi spinto a voler rappresentare l’aiuto umanitario ma senza credervi, oppure di essere incoerente.

Ma non era forse questo l’obbiettivo di Sean Pean, bensì realizzare un verifica della disperazione umana costretta a naufragare su zattere.

© Riproduzione riservata



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