Recensione del film 'Diamond Island’
Cinema / Recensione - 29 November 2017 08:00
Diamond Island è il film Davy Chou. Mauxa l’ha visto in anteprima.\r\n\r\n
Diamond Island è il film di Davy Chou uscito in questi giorni negli Stati Uniti, e che ha avuto un buon successo di critica (leggi l’intervista al regista).
\r\nPur nella povertà dei mezzi, il film di Davy Chou riesce a manifestare la complessità della vita di Phnom Penh, capitale della Cambogia. Qui, sul fiume Mekong si sta costruendo un enorme complesso immobiliare, e il giovane Bora lascia la sua città natale per raggiungere il cantiere.
\r\nIl film soffre di una lentezza causata dal tentativo del regista di mostrare la realtà di Diamond Island - in nome del cantiere - con i giovani che scorrazzano in motorino intorno a questa costruzione.
\r\n“Diamond Island” è un centro polifunzionale, paradiso moderno per ricchi. Bora crea nuove amicizie, si riunisce con il fratello maggiore Solei, il quale incita gli amici ad entrare nella gioventù urbana privilegiata della Cambogia, tra vita notturna e illusioni.
\r\nE così i giovani si spostano dal lavoro alla discoteca, quasi che ogni sera occorra dimostrare di essersi emancipati dal proprio luogo di origine. Questi passaggi dall’aspetto professione a quello privato rendono il film quasi diviso in due, offrendo alcuni momenti sinceri ma non abbastanza originali dal punto di visto della narrazione. Nasce anche una storia d’amore tra Bora e una ragazza del luogo, rendendo il film un agglomerato di vicende che in potenza potevano essere sviluppate, ma in realtà rimangono sillabate.
\r\nL’illusione di un mondo in cui ai grandi colossi immobiliari che creano magazzini e luoghi di lusso si contrappone la vita di coloro che costruiscono quei luoghi è l’aspetto più veritiero del film, con operai che sembra vogliano vivere del riflesso di quello scintillio. Ma che in realtà devono adeguarsi ad una vita con poche divagazioni, come la discoteca serale e dei facili exploit.
\r\nPerò il motivo del tragitto di Bora dalla sua città natale a Phnom Penh era diverso, pervaso di speranze e di una realtà migliore. Ne resta invece la difficoltà di integrarsi come straniero, il che rende il film anche un ritratto sociale di una generazione non solo cambogiana.
\r\nQuesti aspetto trasversale del film è quello maggiormente apprezzato dalla critica, che ha visto in “Diamond Island” un mood (Village Voice), tanto che lo spettatore può analizzare ciò che hai visto con un particolare significato oppure semplicemente assaporare le immagini (The New York Times), con pochi estetici che si alternano ad una prospettiva culturale su ampie questioni socioeconomiche (Slant Magazine).
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