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Mostra del Cinema di Venezia 2025, recensione film Made in EU

Scopri Made in EU, il film fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia

Mostra del Cinema di Venezia 2025, recensione film Made in EU

Siamo a marzo 2020, quando il Covid fa la sua comparsa in Europa. In una città bulgara, l'untrice è Iva (una lucida Gergana Pletnyova): lavora in una fabbrica in cui si producono capi per grandi marche, con salari irrisori. Il proprietario è un italiano, e Iva – per non perdere il basso salario – finge di stare bene, nonostante avverta sintomi dell'infezione. La caccia alle streghe è il tema portante del film, perché dopo che gran parte dei dipendenti si ammala, è Iva a essere accusata di aver portato il virus, e averlo anche fatto entrare nella città (Ivaylo Hristov). Se lei pare il paziente zero, non della medesima opinione è il medico che la cura in ospedale: non avendo lasciato la città da cinque anni, è improbabile che sia lei quel paziente odiato. Più probabile è che lo sia il proprietario dell'azienda, che era stato a Bergamo due settimane prima.

Ma ormai il vortice delle accuse inforca contro di lei, e come nella caccia alle streghe del 1600, ora gli accusatori piantano tre picconi sulla macchina del figlio (Todor Kotsev) - preso anche a pugni - e rompono le finestre della sua casa con una pietra.

L'intento del regista Stephan Komandarev nel film Made in EU era forse mostrare l'avidità del capitalismo che sfrutta i lavoratori della Bulgaria per produrre capi firmati: ma in realtà ciò che ne nasce è più una cristallina rotazione dell'ottusità umana, che tutt'oggi si azzuffa contro i più deboli per non sforzarsi di ragionare sulla causa di un problema. Il capro espiatorio è sempre utile, e un periodo di pandemia è più comodo per avviluppare le colpe.

Made in EU è un film non perfetto, ma sa assurgere a metafora dell'odio: e forse i capi firmati che bramiamo non sono poi così immuni da colpe.

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