La notte del giudizio Election Year: recensione del film resa dei conti con la violenza incondizionata
Cinema / Recensione - 28 July 2016 08:00
James DeMonaco dirige l'ennesimo terzo film del franchise La notte del giudizio, portando alle sue estreme conclusioni il dualismo morale esistente tra accettazione o meno di una primitiva forma di vi
La notte del giudizio – Election Year di James DeMonaco presenta una trama che si dipana in modo molto simile rispetto ai precedenti film.
La senatrice Charlie Roan (Elizabeth Mitchell) si sta battendo affinché si ponga fine allo sfogo annuale e, nella lotta verso la Casa Bianca, dovrà affrontare diversi nemici, pronti a sbarrarle la strada in quanto fermamente convinti dell’utilità dello sfogo. Proprio durante lo svolgimento del rituale, i suoi avversari politici tenteranno di ucciderla secondo le leggi della folle notte, ma la caparbia donna potrà contare sulla fedele guardia del corpo al suo servizio, l’agente Leo Barnes (Frank Grillo), oltre che su alcuni cittadini di colore che si schiereranno dalla sua parte, tra cui il negoziante Joe Dyxon (Mykelti Williamson). Riusciranno gli eroi del terzo episodio a sopravvivere? Unendo le loro forze e guardandosi le spalle l’un con l’altro tenteranno di trascorrere le 12 ore di violenza senza morire.
James DeMonaco dirige il terzo film della saga incentrata su un futuro distopico in cui uno sfogo annuale decreta il libero utilizzo di una sanguinaria violenza verso il prossimo. Dopo La notte del giudizio (The Purge) ed il suo sequel, Anarchia – La notte del giudizio (The Purge: Anarchy), il regista torna dietro la macchina da presa de La notte del giudizio – Election Year (The Purge: Election Year) per dirigere, oltre che curare a pieno la sceneggiatura, quello che si propone come il capitolo conclusivo del franchise che ha visto la luce nel 2013. Cambiando di volta in volta i personaggi protagonisti dei diversi capitoli (basti pensare alla famiglia Sandin del primo episodio, poggiante su attori del calibro di Ethan Hawke e Lena Headey, di cui non vi è traccia, neanche orale, nel terzo capitolo, lasciando il posto non ad un’altra famiglia benestante, ma ad una senatrice e ai suoi aiutanti), il tratto distintivo che accumuna tutti e tre i lungometraggi è la lotta persistente contro un sistema che ha decretato la fine della civiltà per un ritorno alla barbarie.
Ha senso lasciare che il proprio Paese viva l’intero anno nella paura dell’arrivo della notte dello sfogo in cui tutto è lecito? La legalità concessa agli istinti più reconditi e animaleschi dell’essere umano non rappresenta essa stessa la fine della civiltà umana? Con un conto alla rovescia, scandito sul grande schermo, che preannuncia l’inizio dello sfogo annuale descritto nei diversi film della saga, si introduce l’escalation di violenza che si attua alla rinfusa contro i protagonisti che di episodio in episodio si fanno avanti. Bisogna notare come l’antagonista da debellare non sia personificato in un nemico più o meno concreto in particolare, bensì venga incarnato dalla moltitudine di persone che mostrano una completa disconnessione dalla realtà razionale di ogni giorno per dare libero sfogo ad una crudeltà ingiustificata che ha dell’orrorifico. E allora personaggi caricaturali vengono disseminati lungo La notte del giudizio – Election Year, come la ragazza che vuole a tutti i costi il dolcetto che non ha potuto rubare in quel negozio contro cui decide di scagliarsi proprio durante lo sfogo.
Ma nel terzo capitolo assistiamo alla resa dei conti del dualismo impostato sin dal primo La notte del giudizio, ossia quello tra i sostenitori dello sfogo ed i suoi oppositori. La senatrice, interpretata dal volto noto della serie tv Lost Elizabeth Mitchell, rappresenta proprio la lotta incondizionata contro l’accettazione passiva della violenza perpetrata durante lo sfogo: riuscirà la sua fazione a salvare se stessa e a cambiare le sorti della nazione? Il terzo capitolo ce lo svelerà.
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