Julieta: recensione del film intreccio di rapporti fragili e sempre uguali a se stessi
Pedro Almodóvar dirige un dramma puro ruotante intorno ad un'unica protagonista, che si sdoppia in Emma Suarez e Adriana Ugarte per rivivere la sua stessa esistenza alla ricerca delle risposte
Julieta, l’ultimo film di Pedro Almodóvar presentato al Festival di Cannes 2016, gioca tra passato e presente usufruendo di due attrici, Emma Suarez e Adriana Ugarte.
La trama di Julieta inserisce lo spettatore nella vita della protagonista omonima dopo i tragici eventi che hanno sconvolto la sua esistenza di moglie e di madre. Un’adulta Julieta (Emma Suarez) sta per trasferirsi con il nuovo compagno in Portogallo, ma un incontro fortuito con un’amica d’infanzia dell’amata figlia Antìa la convince inaspettatamente a rimanere a Madrid, nella sua vecchia abitazione. Attraverso la stesura di una lunga e contemplativa lettera che vede come destinataria la figlia, scomparsa senza dare motivazioni, Julieta si mette a nudo, ripercorrendo il suo passato e lasciando il posto ad una più giovane se stessa (Adriana Ugarte).
Pedro Almodóvar ricostruisce una storia, come suo solito, presentando uno dei personaggi principali ed edificandovi intorno un’impalcatura di flashback che si materializzano e si sostituiscono al tempo presente della narrazione, imponendo il passato come luogo dell’accaduto. Servendosi della tragicità dipinta sul volto di Emma Suarez, il regista dà luogo ad uno sdoppiamento fisico della protagonista, riportando l’azione alla giovinezza di una Julieta interpretata da Adriana Ugarte. E allora vengono mostrati i primi espedienti narrativi che muovono il racconto, quali l’incontro con Xoan, il futuro padre di Antìa, e la passione che li travolge, fino al presunto addio trasformato in ricongiungimento, aspetto che verrà reiterato più e più volte nel corso del film e che toccherà diversi personaggi, per un racconto che sconfinerà nel perpetuo stato di attesa misto a dolore vissuto dalla protagonista, nel tentativo di trovare spiegazioni alla sua perenne solitudine.
Julieta parla della fragilità delle relazioni interpersonali, prendendo a prestito esempi concatenati tra loro. E allora il rapporto madre figlia enunciato all’inizio del film viene riproposto sotto più vesti di generazione in generazione: in qualità di madre Julieta vuole tentare di riallacciare i contatti con la figlia Antìa che non vede da troppi anni, in qualità di figlia prova a ricongiungersi con gli anziani genitori, in particolare con la madre malata. E ancora “chi di spada colpisce di spada perisce” in quanto la sua relazione adulterina con lo sposato Xoan si ripercuoterà contro se stessa, dovendo affrontare la minaccia di un possibile tradimento subito sia dalla sua persona, sia da altre donne a lei vicine. Essendo testimone primario dello sgretolamento dei rapporti che si vengono ad intessere intorno a lei, Julieta dovrà reagire per cercare di ricostruire quanto perduto.
Emma Suarez e Adriana Ugarte offrono performance degne di nota, ma un intreccio eccessivamente improntato verso un modello di relazione sempre uguale a se stessa non rende giustizia ad una messa in scena curata nel dettaglio come quella elaborata da Pedro Almodóvar. La scelta del monocromatismo prevalente che gioca sul colore rosso, che al contempo indica la passione, ma può anche essere presagio di morte, unita ad una macchina da presa che spesso ricorre a primi piani che pretendono di essere immobili, ma subiscono un lieve tentennamento a causa dell’instabilità emotiva degli attanti dell’azione, non forniscono elementi sufficienti per decretare la buona riuscita dell’opera, lasciando che la storia abbia il sopravvento e Julieta sia identificabile come dramma, con pressanti sfumature thriller, che non coglie il genio potenziale rinchiuso nella messa in scena dell’autore spagnolo.
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