Creed - Nato per combattere, Sylvester Stallone di nuovo Rocky per allenare il figlio di Apollo Creed

Cinema / Recensione - 14 January 2016 13:00

Creed - Nato per combattere è un film di Ryan Coogler sulle vicende del figlio di Apollo Creed e del suo mentore Rocky Balboa. Uno spin-off della famosa saga a quarant'anni dall'uscita del prim

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Creed - Nato per combattere (Creed) film diretto da Ryan Coogler e co-sceneggiato insieme ad Aaron Covington, sesto capitolo della fortunata serie di pellicole su Rocky iniziata nel 1976.

Trama. Adonis Johnson (Michael B. Jordan) è orfano di entrambi i genitori, figlio illegittimo del grande Apollo Creed, nel suo sangue scorre la stessa passione per la boxe. Dopo essere cresciuto con l’ex moglie di Apollo, che diventa a tutti gli effetti sua madre, il ragazzo decide di mollare lavoro e casa per inseguire il proprio sogno. Arrivato a Philadelphia chiede alla grande leggenda Rocky Balboa (Sylvester Stallone) di allenarlo in nome dell’amicizia che lo legava col padre. Dopo un’iniziale titubanza, Rocky decide di prenderlo sotto la propria ala protettiva, per farlo arrivare ai livelli del padre. In pochi mesi si presenta ad Adonis l’opportunità di conquistare il titolo contro l’imbattuto campione del mondo, ma gli avversari da battere per i due saranno tanti prima di quel momento, e non solo sul ring.

Recensione. Il giovane regista Ryan Coogler, in questo suo secondo lungometraggio, torna a lavorare con l’attore del suo “Prossima fermata Fruitvale Station”, Michael B. Jordan, ed insieme al candidato premio Oscar Sylvester Stallone indaga l’ennesimo vicenda di una saga che quest’anno compie quarant’anni. Uno spin-off che per la prima volta non vede Rocky protagonista, ma il figlio dell’eterno rivale Creed, in un apoteosi del ricordo e della nostalgica voglia di rivincita. La storia è quella classica di redenzione che accomuna tutti i film di boxe (vero e proprio genere a parte), nella quale un giovane ragazzo vuole a tutti i costi essere all’altezza della fama del padre. Non tardano riferimenti e citazioni a quella che è la simbologia della saga, a partire dalla famosa scalinata del museo di Philadelphia, passando dal ristorante “Adrian’s”, fino ad arrivare ai mitici pantaloncini a stelle e strisce di Apollo. Un capitolo quanto mai legato al passato, ma capace di inserire efficacemente elementi nuovi e contemporanei: esilarante lo scontro generazionale tra Adonis e “zio” Rocky, e toccante la caratterizzazione drammatica dello “stallone italiano” nel momento in cui si ritrova a dover affrontare la più dura sfida della propria vita, una di quelle che non si può vincere con un semplice gancio.

Sylvester Stallone quarant’anni dopo. È proprio lui a stupire di più, che pur tornando per la sesta volta nei panni del personaggio che nel ’76 ha rischiato di consegnargli l’Oscar è riuscito in un interpretazione che sembrava essergli ormai impedita visto l’eccessivo uso della chirurgia estetica. La soddisfazione più grande invece arriva direttamente dai Golden Globes, che hanno deciso di consegnarli il premio come miglior attore protagonista: Sly, che quest’anno compirà settant’anni, si è commosso al ritiro del premio, ringraziando proprio Rocky Balboa per essere il suo miglior amico immaginario di sempre.

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