Ben-Hur: recensione del film emulazione frammentaria del leggendario kolossal
Jack Huston, Toby Kebbell e il premio Oscar Morgan Freeman, diretti da Timur Bekmambetov, sono i protagonisti del remake del celebre film di William Wyler, ma senza proporre un'originale e riuscita vi
Timur Bekmambetov è il regista a cui viene affidato l’arduo compito di ricondurre sul grande schermo un kolossal che ha segnato la storia del cinema americano e tenta di farlo servendosi di Jack Huston nel ruolo del protagonista Giuda Ben-Hur affiancato, tra i tanti, da Toby Kebbell e Morgan Freeman.
Ben-Hur, come il suo illustre predecessore, basa la sua trama sul romanzo di Lew Wallace e narra gli avvenimenti che vedono protagonista il principe Giuda Ben-Hur (Jack Huston) che, entrato in conflitto con il fratello adottivo Messala (Toby Kebbell) proprio negli stessi anni in cui Gesù tramanda i suoi insegnamenti alla gente comune, viene accusato di tradimento e costretto a servire l’impero romano come schiavo. Lontano dalla sua famiglia, prigioniero di un destino che sembra gli sia stato imposto, Giuda riesce a riacquistare la libertà e, desiderando riabbracciare i propri cari e ottenere giustizia, grazie all’aiuto dello sceicco Ilderim (Morgan Freeman) sfiderà Messala in una corsa delle quadrighe il cui esito segnerà un decisivo cambiamento in entrambi i fratelli.
Il regista kazako Timur Bekmambetov prova a ricostruire per immagini l’epica storia che condusse ad un successo senza precedenti il Ben-Hur di William Wyler, datato 1959, che alla cerimonia degli Oscar del 1960 si accaparrò ben 11 statuette, divenendo il film che ha ottenuto più Academy Awards nella storia della Settima Arte (poi eguagliato da Titanic nel 1998). Dando luogo ad una regia frammentaria e non omogenea, la scelta di scomporre le scene utilizzando costantemente campi e controcampi, affastellati senza un gusto per la ricerca, e a volte disorientando perché optando per zoom inconsistenti, non permette allo spettatore di immergersi in una storia così affascinante come quella del dramma della perdita di libertà vissuto dal singolo così come da popoli interi, schiavizzati dai romani.
Morgan Freeman, in veste di mentore del protagonista interpretato da Jack Huston, cerca di offrire supporto ad un film che si perde nei suoi stessi meandri, ma nulla può contro una sceneggiatura che non concede il giusto spazio alla definizione dei personaggi, accennandoli grossolanamente attraverso scene sommarie, e lasciando che siano protagonisti di conflitti o risoluzioni senza una preparazione adeguata.
Ben-Hur, dunque, tenta di avvicinarsi al kolossal che si mostrò al mondo nel 1959, ma nulla può proponendosi con uno script e una regia che non offrono una personale lettura del romanzo di Lew Wallace, ma si limitano a parlare degli avvenimenti e dei personaggi come fossero semplicemente illustrati, senza dare personale ed originale corpo alla storia, catalogando il remake come un tentativo poco riuscito di emulazione.
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