Recensione film Bad 25, l'arduo ingegno di Michael Jackson raccontato da Spike Lee
Cinema / Recensione - 02 September 2012 12:36
Spike Lee ripercorre la creazione di Bad, l'album più complesso di Michael Jackson in uscita l'8 settembre in una nuova edizione
Michael Jackson con Bad (1987) ha realizzato l'album che pur non vendendo 109 milioni di copie come Thriller (1982) è entrato nella storia della discografia come quello in cui ha profuso più energie. Il videoclip Bad fu diretto da Martin Scorsese, in una stazione della metropolitana di New York chiusa per una settimana, scritto dallo sceneggiatore Richard Price (Il colore dei soldi, 1986) e costato 2.200.000 di dollari. Ed è su questo dato iconografico che si concentra il documentario di Spike Lee, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e realizzato in occasione dei 25 anni della pubblicazione del lavoro. Un album che è esaltato proprio grazie alle sue qualità commerciali più che artistiche.
Spike Lee comincia a raccontare l'evoluzione dell'album partendo dai videoclip della track-list, ossia quel misto di musica e video che grazie a Michael Jackson è assurto a nuovo linguaggio audiovisivo. Il regista del videoclip Bad, Martin Scorsese racconta della difficoltà di far comprendere a Jackson la trama della clip, con le due bande rivali che si fronteggiano a colpi di danza, fino alla pacificazione finale.
Oppure le inquadrature che non potevano essere tutte a figura intera, e che anche in primo piano avrebbero comunque esaltato le performance della pop-star.
Si alterano poi le interviste al produttore, alla cantante Siedah Garrett che duettò in I Just Can’t Stop Loving You, all'attrice Tatiana Thumbtzen che interpretò la parte della ragazza abbordata nel videoclip The Way You Make Me Feel. Fino al regista di quest’ultimo Joe Pytka. È questo uno dei momenti più personali della biografia creata da Lee: Jackson avrebbe dovuto baciare Tatiana a fine clip, ma il produttore disse di evitare, perché Jackson era troppo timido . Cosicché la scena si conclude con un lungo abbraccio.
Spike Lee si mostra maestro nell’indagare una star che è rimasta nell’immaginario. Così come aveva approfondito il problema delle vittime nel poco fortunato Miracolo a Sant'Anna (Miracle at St. Anna, 2008), emerge qui alla fine lo stesso concetto di afflizione. Toccante è la frase di un’amica di Jackson che afferma: “ci dovremmo tutti vergognare”, pentire del fatto di aver indugiato nella vita privata di una persona, che avesse un parco giochi privato, che riposasse in una camera iperbarica, che avesse la pelle del volto ritoccata con chirurgia plastica. Il che ha sancito una tensione e una morte prematura a soli 51 anni.
Il documentario di Spike Lee patisce una ripetitività dovuta alla metodicità della sceneggiatura, che esamina uno dopo l’altro i singoli dell’album Bad, da Dirty Diana a Smooth Criminal (che doveva essere il titolo originale dell’album) a Liberian Girl. Di fronte alla sonorità che poi collima con le interviste, da quella a Mariah Carey a Steve Wonder, fino ai produttori tra cui il presidente della CBS Walter Yetnikoff nonché i vari confidenti, rivela la genialità dell’artista di Gary. Un Michael Jackson meno Bad di quanto si credesse.
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