Cinema e salute: come stare meglio grazie ai film
Cinema / News - 25 November 2016 07:30
Per vari stati d'animo o paure ci sono differenti film. Cominciamo oggi una rubrica che affronta questa unione.
Il rapporto tra cinema e salute è più stretto di quanto si pensi. Fin dall’inizio della civiltà il racconto serviva per suscitare una catarsi nello spettatore, come nell’antica Grecia in cui nell'opera "Etiopide" Achille uccide la bella Tersite, si accorge della sua bellezza e la violenta, per poi essere lui stesso pugnalato.
Questo concetto si è poi evoluto con il teatro, come in quello shakespeariano. Basti pensare che a varie rappresentazione del “Tito Andronico” di William Shakespeare del 1593 molti spettatori svenivano per la violenza rappresentata. Così, 450 anni dopo alle rappresentazioni della medesima opera recitata da Lawrence Oliver e diretta da Peter Brook “ogni sera svenivano almeno tre spettatori, e uno spettacolo provocò almeno venti malori” (Kolin). Oppure la paura di essere investiti portò gli spettatori del film “L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat” nel 1896 a fuggire dalla sala.
Fino ad arrivare alle moderne forme di visione, per cui la paura della morte (quindi l’assenza di salute) costringe frotte di spettatori a vedere i film horror, pur se con timore.
Nei prossimi articoli affronteremo questi aspetti del cinema e della salute. Studi recenti inerenti della terapia applicata al cinema hanno evidenziato quali sono i film che servono per risolvere alcuni problemi personali.
Se avete delle fisime inerenti l’ansia o un comportamento compulsivo, allora fa per voi il film “Qualcosa è cambiato” (1997) di James L. Brooks, con Jack Nicholson. Qui il protagonista Melvin Udall ha pensieri ripetitivi circa germi e malattie, odia quindi i cani: per lo spettatore è improbabile gestire un cane quando si ha un’ossessione per la pulizia così grave. Melvin cerca di neutralizzare i suoi pensieri con azioni compulsive, e lentamente diviene consapevole che le sue fisime ossessive sono un prodotto della propria mente, ripetendo di ciò con l’amica Carol: lo spettatore comprende che con il confronto può notare tali idee opprimenti.
Se le compulsioni sono comportamenti ripetitivi che cercano di allontanare l’ansia, Melvin le condensa tutte. Evita di calpestare crepe nel marciapiede perché questo può portare sfortuna, teme i germi ed evita di toccare le persone; quando va nel ristorane di Carol porta le posate in modo da non rischiare la contaminazione da argenteria. Così lui si sente meno ansioso, in un mondo più ordinato e corretto.
Gli spettatori che soffrono di questo disturbo riconoscono che le loro ossessioni sono eccessive o irragionevoli, con pensieri e azioni sgradevoli per il proprio senso di sé. Come il personaggio di Melvin, tali pensieri e gesti possono occupare una notevole quantità di tempo, anche più di un'ora al giorno interferendo nella routine di una persona normale.
Se le donne hanno problemi di sbalzi d’umore, il film ideale per tale riconoscimento è “Come l'acqua per il cioccolato!” (1992) dove una madre non vuol dare la figlia in sposa al pretendente, il quale per complicità sposa la sorella. Oppure “Ufficiale e gentiluomo” (1982) dove lo smodato Zack Mayo agisce d’istinto; “Buon compleanno mr. Grape”, dove l’anarchico giovane Arnie si arrampica spesso sul pluviometro rischiando di cadere. L’eccessiva disponibilità di amicizia è riscontrabile in “Ragazze vincenti” (1992), il coraggio di osare in “Thelma e Louise” (1991), la forza del distacco in “Ragazze interrotte” (1999). La dipendenza dall’amore - maschile o femminile - è rispecchiata in “Young Adult” (2011), fino all’estremismo di “Attrazione fatale” (1987).
Quando si ha il sentore di dover effettuare un transizione nella propria vita, un rispecchiamento si ha in “All American Boys” (1979), dove un giovane ciclista mente per crescere; “Shirley Valentine - la mia seconda vita” (1989), in cui la protagonista comprende mentre cucina che parlare con il muro non è la sua ambizione migliore. “Chocolat” (2000), con una donna intemperante che apre una cioccolataia in un luogo bigotto, pagandone le conseguenze. Fino a “Gloria” (1999), dove la protagonista interpretata da Sharon Stone dopo l’iniziale ritrosia sceglie di prendere con se il piccolo Nicky.
Per mettere in discussione convinzioni negative su se stessi e riscoprire i punti di forza c’è “Erin Brockovich” (2000), con la giovane madre che s’improvvisa avvocato; “Il mio grosso grasso matrimonio greco” (2002), “Cronisti d’assalto" (1994), “Segreti e bugie” (1996), “Un amore speciale” (1999), “Sliding Doors” (1998).
La personalità narcisistica trova sollievo vendono il film “The Wolf of Wall Street” (2013) di Martin Scorsese, dove un ambizioso finanziere giunge alla rovina privata.
Se il problema e dell’intimità da ritrovare è d’uopo “Storia di noi due” (1999), con una coppia sposata che cerca novità dopo quindici anni di matrimonio. Per scavare nel dolore della famiglia, “In America - Il sogno che non c'era” racconta delle scelte dopo la morte di un figlio.
Per sviluppare il senso di amicizia tra i bambini, un film da simili tematiche è “Un ponte per Terabithia” (2007), dove ci si immedesima in un mondo di fantasia per sfuggire dalla realtà. La competizione nei bambini è rimessa in “In cerca di Bobby Fischer”, dove il protagonista ha un innato talento per il gioco degli scacchi. Le paure infantili, come timore di confrontarsi con gli altri sono spronate da “Il re leone” (1994).
Questo aspetto è stato evidenziato in studi come “Reel Therapy: How Movies Inspire You to Overcome Life's Problems”, del neuropsichiatra Gary Solomon. Fu lui che nel 2001 effettuò delle proiezioni di film con delle persone, in base a particolari tipologie cliniche. Dopodiché somministrò dei quesiti inerenti il film visto, e dalla convergenza di risposte trasse delle conclusioni. Lo studio evidenzia come i tratti psicologici rappresentati sullo schermo possano essere riconosciuti dallo spettatori, così da risolverli. In realtà a questo aspetto presta aiuto la neuroscienza, poiché il meccanismo di immedesimazione in una scena è causata da un particolare tipo di neurone, ovvero il neurone specchio di cui discuteremo in seguito.
La peculiarità della Cinema-therapy quindi non si evidenzia solo mostrando situazioni di salute o malattia - temi spesso usati al cinema - bensì proprio rappresentando caratteri normali: i film per la loro “genericità” possono essere visti da tutti, sia bambini che adulti. Prendiamo il caso del “Re Leone”: per gli adulti può dare un messaggio di coraggio e rispetto, ma in realtà ciò che provoca nei bambini è una percezione differente. Dopo vari studi si è evidenziato che i bambini con un carattere tipicamente “isolato”, vedendo questo film acquistano coraggio. Un traguardo che negli adulti non viene notato, ma che appunto nei bambini acquista senso.
Gli sviluppi della cinemateraoia sono poi giunti ad ipotizzare come sbloccare passaggi emotivi, analizzati in “Rent Two Films and Let's Talk in the Morning: Using Popular Movies in Psychotherapy” (2001) dI Jan G. Hesley.
I film che attirano più pubblico sono generalmente quelli in cui compaiono quei fattori nascosti che agiscono negli strati profondi della mente. Fattori che non si possono o non si vogliono soddisfare nella vita reale, ma a cui non si riesce completamente a rinunciare. Al cinema si evidenzia questo aspetto para-onirico, tra silenzio, buio, che aumenta l’immedesimazione con ciò che accade sullo schermo. La coscienza considera proibiti alcuni impulsi e il film, in quel luogo li appaga. Sono soprattutto gli elementi propri della vita istintuale ad essere mossi dal film. L’erotismo e la violenza sono quelli maggiormente mossi, da qui il loro grande uso al cinema. Fino a giungere alla catarsi: e essa è causa la profonda identificazione e suggestione. E da qui scatta il meccanismo messo in moto dalla legge per evitarlo: la censura.
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