Recensione La vita facile. Quanto lontano si deve fuggire?

Cinema / News - 04 March 2011 07:50

Nelle sale la nuova pellicola di Lucio Pellegrini con Stefano Accorsi, Francesco Favino e Vittoria Puccini

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Lucio Pellegrini, dopo essersi lasciato alle spalle il cinema puramente “impegnato” del racconto dei fatti del G8 di Genova ed i più recenti successi delle sue ultime commedie, si cimenta in una pellicola difficile quanto originale, in cui l’impegno politico o la coscienza civile sono lo sfondo per una indagine generazionale sull’animo umano e sulle sue miserie.

Luca (Stefano Accorsi) è un medico volontario in una missione in Kenya, vive in un piccolo villaggio, insieme a due cooperanti italiani e qualche infermiere locale, all'interno del quale hanno organizzato un piccolo presidio medico, dove, superando ogni tipo di problematica, cercano di alleviare l'emergenza sanitaria in cui versa la popolazione indigena.

Mario (Francesco Favino) invece è un medico affermato di una clinica privata romana, gestita dal padre di Luca, e sposato con la bella Ginevra (Vittoria Puccini) con la quale vive in un lussuosissimo appartamento nel centro di Roma.

Un giorno Mario decide di andare a trascorrere un po' di tempo da Luca, sia per rinsaldare l'amicizia che lo lega al suo vecchio compagno di studi, sia per dare una mano alla missione ma anche per riflettere e riappropriarsi di quel senso della vita messo da parte nella routine quotidiana. L'approccio per Mario non è semplice, la realtà africana mette a dura prova la resistenza del "romanetto" un po' sbruffone abituato a tutti i tipi di comfort, inoltre, il rigore e il senso del dovere di Luca, spesso contrastano con l'animo più casereccio e compagnone di colui che è abituato alla scorciatoia e alla parola più che al lavoro duro.

Pochi giorni dopo a raggiungerli è Ginevra, ma una volta ricomposto il trio di una volta, dei tempi dell'università, le verità nascoste inizieranno a venire fuori, e un turbine di tradimenti di ogni genere decreterà la fine dei rapporti tra i tre protagonisti.

Inizia quindi una resa dei conti all'ultimo colpo tra i tre, ma non è uno scontro tra differenti visioni del mondo, tra differenti coscienze civili e sensibilità, è un più un teatro di personalità fragili, di uomini che hanno ricevuto tutto dalla generazione precedente, "la vita facile", ma che in realtà sono stati privati della responsabilità delle proprie azioni, succubi e controllati da quegli stessi padri che gli hanno spianato la strada, che non gli hanno fatto mancare niente, ma da cui è necessario fuggire per poter uscire dalla loro sfera d'influenza.

Ed in questa miseria d'animo, questi eterni giovani sono talmente presi nei loro personalismi da non avere spazio per la vita esterna; la pellicola è ambienta in una missione umanitaria e forse non è un caso che, come i protagonisti, il regista stesso, non si occupi delle problematiche proprie, delle contraddizioni, e dell'importanza della cooperazione internazionale.

E per molti queste assenze si faranno sentire, perché sì il film scorre fluido, le caratterizzazioni dei personaggi sono ben dipinte, e gli attori, in un trio ormai collaudato, giocano con successo tra di loro: ma l'Africa non è solo una splendida fotografia (e quella del film è "ovviamente" bellissima), la cooperazione non è solo una brava ragazza che vuole aiutare o un figlio di papà che vuole fuggire, e probabilmente molti quarantenni hanno smesso di guardarsi ancora allo specchio e di leccarsi le proprie ferite.

© Riproduzione riservata



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