The Code, intervista a G.B. Joyce: 'scrivi di ciò che conosci'
Tv / Intervista - 22 December 2017 09:00
Il romanzo "The Code" ha ispirato la serie televisiva "Private Eyes", in onda su Fox Crime. Mauxa ha intervistato in esclusiva l'autore G.B. Joyce.
Abbiamo intervistato in esclusiva G.B. Joyce, autore del romanzo "The Code" che ha ispirato la serie televisiva “Private Eyes” giunta alla seconda stagione e già rinnovata per una terza.
D: Com’è nata l’idea di scrivere questo romanzo?
R: Onestamente era la prima volta che provato a scrivere un romanzo di finzione. Avevo pubblicato il mio primo racconto qualche mese prima, ESPN The Magazine aveva pubblicato un numero letterario edito da Dave Eggers, saggista e scrittore di romanzi pluripremiato. Egli aveva portato molti famosi sceneggiatori, io ho trattato l’hockey per il magazine e i miei superiori mi dicevano che avrei potuto tentare di scrivere un racconto, era una pazzia ma io ero l’unico giornalista sportivo che era entrato in quell’ambiente, la storia era basata su un giocatore dell’NBA scomparso in Africa durante gli anni Settanta. È stata la cosa più eccitante che mi sia accaduta nella mia vita professionale, la mia prima fiction apparve in una rivista con un abbonamento di due milioni di lettori. Scrivere un romanzo era il passo successivo. Ho scalato una collina e poi ho cercato una montagna. Una serie televisiva, non mi sarei permesso neanche di sognarlo.
D: Il racconto è ambientato nel mondo dell’hockey, perché ha scelto questo ambito per articolare una storia connotata dal tono del thriller spionistico?
R: Il vecchio detto: scrivi di ciò che conosci. Io mi sono occupato di hockey come reporter per trent’anni. I giocatori che ho incontrato quando erano sedicenni ora gestiscono squadre professionistiche. Conosco le vite dei giocatori e degli ex giocatori. Molti di loro pensano che Shade sia basato su di essi, li lascerò nel dubbio. La verità è che quando i miei amici leggono il libro mi dicono che sentono la mia voce quando parla Shade. Il mio scrittore di gialli preferito Ross Macdonald una volta disse del suo grande personaggio Archer, “non sono lui ma lui è me”. Penso che ciò sia vero riguardo Shade. Ho cercato di bilanciare umorismo e mistero, se eccede in un senso, direi umorismo.
D: Sta già lavorando su un terzo romanzo relativo a questa serie?
R: Al momento sto lavorando allo sviluppo di un pilot della durata di un’ora per una dark comedy con una coppia di amici a Toronto. La serie dovrebbe essere ambientata nel mondo dell’entertainment ma sono troppo superstizioso per rivelare ulteriori dettagli dietro a questo progetto. Ho scritto un romanzo breve che è la base del pilot, chissà cosa accadrà. Il prossimo anno proverò a scrivere qualcosa di nuovo per Shade.
D: Che cosa pensa della serialità televisiva canadese?
R: Innanzitutto devo spendere parole gentili verso chi sta dietro a Private Eyes, Jason non è solo un interprete ma è anche un vero campione della televisione canadese. I produttori esecutivi Shawn Pillar e Lloyd Segan sono stati grandiosi non soltanto per me ma anche per le centinaia di persone che lavorano a Private Eyes e ad altre serie che hanno mandato in onda. A parte la mia fortuna, è un momento emozionante nel settore, ci sono tutti i tipi di talenti creativi qui. La nostra entità di lavoro non è paragonabile a quella di Hollywood ma è necessario impegnarsi alacremente, essere fuori dagli schemi. Il Canada ha una incredibile rappresentazione nell’industria comedy, dal Saturday Night Live a SCTV. Tutti conoscono qualcuno, John Candy è cresciuto come vicino di casa di un mio amico nell’East York e comici come Norm Macdonald e Jim Carrey si sono esibiti in locali dove ho lavorato.
D:Come Gary Joyce, ha scritto per trent’anni di sport per molti giornali e riviste, occupandosi principalmente di hockey. Quali sono le discipline sportivi più seguite dai lettori?
R: L’hockey è seguito in Canada come la chiesa cattolica è seguita nella Città del Vaticano. È più grande di tutto il resto messo insieme, da piccolo amavo il pugilato e sono stato fortunato ad abbandonare questa passione a quattordici anni.
D: Quando ha deciso di impegnarsi nella carriera da scrittore?
R: Ho scritto il mio primo "libro" quando avevo undici anni. Era la biografia da ragazzo di Jack Johnson, il campione dei pesi massimi agli inizi del Novecento. Quando avevo quell’età sapevo che in un modo o nell’altro avrei scritto. Ho iniziato ad amare il giornalismo molto presto, quando avevo sette anni tornavo a casa da scuola e stendevo il giornale sul pavimento e ci gattonavo sopra per leggerlo, le pagine erano troppo grandi da tenere. Ho amato anche la letteratura ma non so se il giornalismo può renderti un romanziere. Penso che i giornalisti che hanno scritto grandi romanzi sarebbero diventati romanzieri anche senza lavorare su giornali o riviste.
D: Qual è il suo autore preferito e il libro che consiglia a tutti di leggere almeno una volta?
R: È molto difficile. Ne elencherò qualcuno, un canadese trasferitosi in California, Ross Macdonald, è il mio scrittore di gialli preferito e The Chill e The Blue Hammer sono i due romanzi di Macdonald che ho letto cinque o sei volte ciascuno. Tra gli altri Luce d’agosto di William Faulkner, Winesburg Ohio di Sherwood Anderson, The Big Sleep di Chandler, American Tabloid di James Elroy, A History of the World in 10½ Chapters di Julian Barnes e altro ancora di John LeCarre, in particolare La spia perfetta.
\r\nD: Cosa pensa del futuro del giornalismo?
\r\nR: È impossibile essere ottimisti per il settore, ma è ridicolo essere pessimista per se stessi.
© Riproduzione riservata