Intervista all'attore del film 'Gli anni amari', Francesco Martino

Cinema / Intervista - 07 July 2020 10:30

'Gli anni amari' è il film nelle sale

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Film Destination Wedding

Gl anni amari è il film nelle sale, diretto da Andrea Adriatico. La storia ripercorre la vita e i luoghi di Mario Mieli, tra i fondatori del movimento omosessuale italiano nei primi anni 70: fu attivista, intellettuale, scrittore, performer, e attorno a lui gravitano nomi e volti di amici e compagni come Corrado Levi (architetto, docente, artista), Piero Fassoni (pittore), Ivan Cattaneo (cantante), Angelo Pezzana, Fernanda Pivano (scrittrice e traduttrice), Milo De Angelis (poeta), Francesco Siniscalchi (massone che denunciò Licio Gelli e la P2). Fino alla storia il giovanissimo Umberto Pasti, futuro scrittore. Nel cast ci sono Nicola Di Benedetto, Francesco Martino, Sandra Ceccarelli, Antonio Catania, Lorenzo Balducci, Tobia De Angelis.

Nel film Gli anni amari interpreti Corrado Levi. Puoi parlaci del tuo personaggio?

Come si fa a raccontare Corrado? Un genio, un artista, un intellettuale, un architetto, uno scrittore, un musicista. È stato un professore universitario molto amato, e uno dei primi uomini sposati e con figli in quegli anni a fare coming out e a restare in buoni rapporti con la moglie e con i figli, abbattendo stigmi e ipocrisie. Ho avuto la fortuna di incontrarlo, molti dei suoi libri li ho letti perché me li ha regalati lui. È considerato uno dei padri del “Fuori”, il movimento di liberazione omosessuale in Italia (all’epoca non si usavano ancora termini come lgbtq+). A lui si deve la diffusione nel movimento della pratica dell’autocoscienza, che credo sia stata la vera chiave di volta della vita di Corrado. Impossibile descrivere il suo rapporto con Mario: una di quelle amicizie durate una vita, intrecciate con l’amore libero di quegli anni, che forse erano possibili solo negli anni ‘70. A persone come loro due, Angelo Pezzana, Fernanda Pivano e tanti altri, l’Italia deve tantissimo: hanno avuto il coraggio di lottare per tutti gli altri.

Il film racconta anche il desiderio di portare avanti una propria battaglia. Ti riconosci nel messaggio del film?

Completamente. Una delle cose più belle che Corrado mi ha lasciato è una frase: “Parti sempre da te stesso. Nella vita, partire da se stessi rende inattaccabili”. L’adesione a se stessi è una qualità indispensabile di una vita vera; per un attore lo è ancora di più: non si può essere credibili indossando una maschera se se ne porta già una nella vita. Mi sto impegnando a essere completamente me stesso, il che significa anche scegliere solo progetti in cui credo, di cui condivido il messaggio. Questo film mi ha cambiato: ho smesso di voler lavorare a tutti i costi, di voler far contenti gli altri a tutti i costi. Ho bisogno che quello che faccio abbia un senso profondo.

Film Gli anni mari

Dove si sono svolte le riprese?

Tra Milano, Bologna, Sanremo, Lecce e Londra. Ho amato moltissimo passare del tempo a Lecce, una città stupenda che non conoscevo abbastanza.

Hai lavorato anche ad un episodio di Doctor Who. Come sei stato scelto per il cast?

Il provino è stato organizzato dalla mia agente inglese. Di solito lavoriamo in self tape, ma quella volta mi disse “è meglio se prendi un aereo e vieni qui”; aveva ragione. Per il provino serviva una pistola e io, ingenuamente, ne misi una giocattolo in valigia. Ai controlli in aeroporto si fecero una gran risata. Ovviamente me la sequestrarono, però mi fecero un in bocca al lupo per il provino; devono avermi portato fortuna.

Qual è la differenza tra una set internazionale e uno italiano?

Impossibile fare paragoni fra realtà così diverse: Doctor Who è un fenomeno di costume nel Regno Unito, a Cardiff esistono degli studi cinematografici enormi dedicati solo a quella serie. Ho visto progetti italiani filmati con la stessa cura e dedizione, anche se qui spesso è difficile mettere insieme macchine produttive così imponenti.

Hai lavorato a diversi film e serie tv. Qual è il progetto cui sei più affezionato e perché?

In effetti la risposta è: tutti, nel momento in cui li ho girati. Credo che esista una sincronicità nel mondo in cui ruoli e interpreti si incontrano. Se un personaggio ti viene incontro, probabilmente ha da mostrarti qualcosa di te che ancora non conosci; sono convinto che se qualcosa arriva nella vita è perché è il momento giusto e si è pronti per affrontarla. Un ruolo è come un amico che ti accompagna in una parte della vita: è un rapporto speciale, e a volte salutarsi è difficile.

Il settore dell’audiovisivo e degli eventi è stato duramente colpito dall’emergenza del coronavirus. Vedi segnali di ripresa?

Quello che mi preoccupa davvero è lo spettacolo dal vivo. A causa dell’emergenza, un intero settore è stato messo in ginocchio: le nuove linee guida rendono quasi impossibile continuare a lavorare normalmente, e chi si siede ai tavoli in cui si cercano soluzioni sono spesso le grandi realtà, a discapito delle migliaia di tecnici e attori che questo mestiere lo fanno dal basso, e che sono i più colpiti, quelli che il tentativo di rilancio dello Stato non riesce a raggiungere. Ho visto operatori teatrali bravissimi consegnare pizze durante la pandemia per mantenere la famiglia: come dovrei chiamarli? Eroi? Vorrei che il mondo si accorgesse di loro. Guardo il positivo: per la prima volta i lavoratori dello spettacolo si stanno riunendo in categoria, muovendosi compatti. Per decenni abbiamo versato fondi previdenziali come tutti gli altri lavoratori: quello che chiediamo ci spetta di diritto, e forse ne stiamo prendendo coscienza solo adesso.

Qual è il tuo prossimo progetto?

Sto scrivendo un film insieme ad un bravissimo regista straniero; una storia a cui tengo moltissimo. Il progetto è in co-sviluppo fra una produzione Italiana ed una estera; è la mia prima volta come autore e sceneggiatore oltre che come interprete. Un’emozione indescrivibile, un po’ come dare alla luce un figlio.

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