Intervista a Kim Brand regista di Among Women, film documentario
Cinema / Intervista - 05 October 2014 08:00
Con il documentario Among Women, Kim Brand, giovanissima regista olandese, ci racconta il rito di passaggio all'età adulta di due ragazze in Zambia, rito in cui il sesso ha un ruolo di primo pi
Mauxa intervista Kim Brand, regista del documentario "Among Women"; film trasmesso dalla televisione olandese e selezionato in vari festival internazionali
Il documentario Among Woman è un film non proprio convenzionale. Tanto in Zambia quanto in Olanda, paese d'origine della regista, il sesso riveste un ruolo fondamentale nella relazione tra uomo e donna e l'idea geniale Kim Brand, e struttura portante del film, è quella di mettere in relazione il rito di passaggio per il matrimonio di due giovani ragazze dello Zambia con la sua stessa storia personale, invitando così lo spettatore a riflettere, prima di giudicare seguendo facili stereotipi
L'intervista a Kim Brand, regista del film documentario "Among Women"
D- Come è nato il progetto?
R - Tutto è iniziato nel 2008, quando ho vissuto in quello stesso villaggio in Zambia per due mesi. Ero li per un progetto scolastico e insieme ad altri tre studenti volevamo insegnare alle persone del posto come filmare le loro vite per dargli la possibilità di documentare la loro stessa cultura prima che l'arrivo imminente dell'energia elettrica cambiasse completamente tutto. Durante quel primo soggiorno ho incontrato una donna che mi ha accompagnato in un posto dove c'era un iniziazione. Non avevo mai visto nulla di simile e fui sopraffatta dall'intimità che c'era fra le donne del gruppo, tutte quasi completamente nude, che danzavano e ridevano. Le donne stavano insegnando alle ragazze sia la maniera adeguata per avere una relazione con un uomo, sia ad essere orgogliose di diventare donna. Quello è stato il momento in cui ho capito che avrei voluto fare un film su di loro perché, mi sono detta, forse gli occidentali possono imparare qualcosa dai rituali di questo piccolo villaggio
D - E poi, dalla prima visita alla realizzazione del film, quanto tempo è passato?
R - Dopo la prima visita ho subito iniziato le ricerche per il film e due anni dopo sono tornata in Zambia; quattro anni dopo ero riuscita ad avere abbastanza soldi per fare il film e quindi sono tornata nuovamente nel villaggio per sei mesi per girare il documentario. Per le prime due settimane ho svolto ulteriori ricerche insieme a Jop Erken, che ha curato la produzione in Zambia. Insieme a me c'era anche Beauty, la nostra interprete, che è stata incredibile perché non solo senza di lei non avremmo mai potuto fare il film, ma anche perché è diventata una delle protagoniste principali del documentario
D - Quanto è stato difficile realizzare il film?
R - Non è stato facile riuscire a comunicare la nostra idea alle ragazze del villaggio perché in Zambia si parlano settantadue lingue diverse, e, mentre nel villaggio chiunque parlava Lala o Bemba, solo poche persone parlavano inglese. Ma prima dell'arrivo della troupe, dovevamo preparare tutto. Noi cercavamo qualcuno che, pur avendo già programmato il matrimonio, non aveva ancora fatto il rito di passaggio. Durante questi sei mesi ho imparato che non tutto può andare come avevi pianificato e se all'inizio poi avevo tentato di programmare le riprese per l'intera iniziazione, poi ho dovuto cambiare strada perché in Zambia la maggior parte delle persone non sa come pianificare la propria vita. Le cose semplicemente accadono e nessuno sa cosa farà il giorno successivo. Così ho deciso di lasciare correre e di essere pronta a filmarle quando qualcosa di importante accadeva, seguendo il rituale con il cuore. Inoltre, vivevamo come la gente del posto e per la troupe, che era naturalmente composta solo da ragazze per via del soggetto del documentario, perché non è permesso agli uomini partecipare al rituale, non è stato facile sopravvivere nella boscaglia, in case senza nè energia elettrica nè acqua a corrente
D - Quando hai deciso di inserire la tua storia personale nel film?
R - Pochi mesi prima di partire per lo Zambia ho incontrato un ragazzo con cui mi sono fidanzata. Molte donne in Zambia mi chiedevano di lui e in generale su come era la nostra relazione. Mi sembra logico che come io ero curiosa delle loro storie, anche loro lo erano sulla mia. Così, durante le riprese, ho deciso di inserire questi dialoghi, e dare risalto a queste conversazioni. Come documentarista devi sempre tenere gli occhi aperti ed essere pronta a modificare i tuoi piani. Ci sono sempre altre opzioni, magari migliori. La cosa bellissima nel fare i documentari è che stai giocando con la realtà, ma in ultima analisi sei tu che decidi come raccontare la storia
D - Nel tuo film metti in relazione il rito di passaggio dall'adolescenza all'età adulta di due ragazze in Zambia con la tua esperienza personale, rendendo il documentario un film non del tutto convenzionale. Sei d'accordo?
R - Si, sono d'accordo. Sono la regista ma anche uno dei personaggi principali. Volevo esprimere e spiegare le mie ragioni sul perché fare questo documentario attraverso la mia personale incertezza sull'avere una relazione sentimentale con un ragazzo. Noi non abbiamo familiarità con il rituale in Zambia, è strano per noi, ma molti dei miei amici olandesi sono coscienti di quanto sia difficile combattere per l'amore nella nostra frenetica vita occidentale, a dispetto di tutta la libertà di scelta che abbiamo. Le storie che provengono dall'Africa sono maggiormente incentrate sulla povertà, la malattia, le guerre, e sul fatto che le donne devono fare tutto ciò che gli uomini dicono. Come documentarista, è stato difficile fare un film senza confermare questi stereotipi perché di solito abbiamo già la risposta prima di guardare. Ma anche gli abitanti del villaggio avevano la loro opinione sulla mia vita. Magari la mia vita era strana per loro, come la loro per me. Per me era molto importante aggiungere le domande che mi facevano, e mostrare la loro opinione sulla mia vita. Attraverso questo confronto tra le culture spero di diventare una sorta di guida per chi guarda
D - Nell'ultima scena del tuo film, le protagoniste escono fuori da una coperta non più come ragazze, ma come donne ed offrono dei soldi … per chi sono?
R - Nell'ultima scena del film, le ragazze escono fuori dalla coperta come donne, e sono davanti alle stesse persone che gli hanno insegnato come essere donne. L'iniziazione è piena di regole e i soldi sono per la Nachimbusa che è l'insegnante del rituale e che diventa maestra per tutto il resto della vita. Se un uomo non è capace nel rapporto sessuale, è quasi impossibile per lui sposarsi. Come gli uomini devono prendersi cura della moglie, fornendogli una casa, lavorando e dandogli tutto quello di cui ha bisogno, incluso il sesso, e allo stesso modo le donne devono prendersi cura della casa e dei bambini e, durante l'iniziazione, imparano a costruire una relazione perfetta e imparano anche come avere un buon rapporto sessuale con il proprio marito. Durante l'iniziazione, le donne danzano tutte insieme e, nel ballo, ogni movimento è legato al giusto modo per avere un rapporto sessuale. Non ho mai visto una cosa simile in Olanda, dove sono libera di scegliere la mia strada ma, allo stesso tempo, devo imparare tutto da sola. Questa libertà per me è molto importante ma sento la mancanza di una guida come la Nachimbusa, sempre pronta ad aiutarti con insegnamenti in forma di canzoni o storie
D - In chiusura, vorrei chiederti sia un parere sull'industria cinematografica del documentario nella società occidentale, sia cosa ti ha spinto a diventare una regista di documentari invece che di film di finzione
R - L'industria del cinema documentario in Olanda è abbastanza grande. Ci sono molti bravi filmmakers. Con l'arrivo della crisi però è diventato più difficile trovare fondi per fare un film. Oggi poi comprare l'attrezzatura per girare è diventato abbastanza economico e, considerando che molti registi fanno documentari su altre culture, ogni tanto mi chiedo come diventerà l'industria dei documentari quando saranno quelle stesse persone a fare dei documentari sul loro stesso modo di vivere. Forse ci saranno molti film fatti da persone del posto … sono veramente curiosa
D - Cosa ti ha spinto a fare film documentari?
R - I documentari sono prodotti di finzione ma con attori sociali. E' il regista che sceglie cosa mostrare, e io voglio fare documentari perché, canalizzando l'attenzione sui dettagli e sulle piccole cose, puoi far diventare le persone consapevoli su quanto, a volte, sia straordinaria la vita di tutti i giorni. Penso che I documentari offrano un vivido sguardo sulle esperienze quotidiane. Come prima cosa, voglio raccontare le mie storie attraverso le immagini e lasciare che lo spettatore tragga le sue conclusioni
Il Regista Kim Brand si è laureata in audio-visual media alla Scuola d'Arte di Utrecht nel 2009. Prima di “Among Women”, ha realizzato brevi documentari. “Among Women”, il suo primo lungometraggio, è stato trasmesso in televisione in Olanda, oltre ad aver partecipato a diversi festival internazionali
© Riproduzione riservata