Intervista a Roman Polanski

Cinema / Intervista - 01 May 2009 17:28

Roman Polanski risponde alle domande di Mauxa

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Rimini - Roman Polanski ha ritirato il premio Federico Fellini, che l\l'hanno scorso fu assegnato a Martin Scorsese. Il regista polacco ha diretto 18 film, tra cui Il coltello nell\'acqua (1962), Cul de sac (1966), l\'horror Rosemary's Baby - Nastro rosso a New York (1969), il noir Chinatown (1974), Frantic (1988), La nona porta (1999), fino al premio Oscar Il pianista (2002) e il recente Oliver Twist (2005).


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Quello che non so di lei

Che rapporto ha con il cinema di Fellini?
Roman Polanski: Non lo so, i critici dovrebbero scoprirlo. Il film che mi è piaciuto di più è 8 ½ (1963), lo vidi a Cannes e per fu me una totale rivelazione. Poi ci ritrovammo con Fellini a Los Angeles, alla premiazione per gli Oscar: lui era candidato per quel film, io per Repulsion. Io ero seduto vicino a Giulietta Masina, più in là c'era lui. Quando il presentatore annunciò che il vincitore era 8 ½ non ho provato gelosia, sono stato fiero di perderlo per quel film. Poi mi sono rifatto con Il pianista (2002).

C'è un rapporto tra cinema e arti figurative in lei?
Roman Polanski: Quando dirigo un film mi baso su tre criteri, ossia scelta del colore, dell'inquadratura e della prospettiva. Comunico ai miei collaboratori tramite bozzetti, quindi esiste un'influenza.
Al liceo artistico eravamo confinati nell'esplorazione dell'arte comunista. Qualche insegnante segretamente ci fece scoprire l'impressionismo: le opere conservate in città erano tenute nascoste. Poi conobbi il surrealismo, opere sconosciute. Con il disgelo fummo sovrastati da questa nuova realtà, con autori francesi come Ionesco, Beckett, il teatro dell'assurdo. Il mio primo corto era debitore di quelle suggestioni. Si chiamava L'armadio, era la vicenda di un uomo che si dirige verso la città con un armadio in spalla. A vederlo ora mi vorrei nascondere sotto il tavolo.



I suoi film sono biografici?
Roman Polanski: Ero nel ghetto di Cracovia. Molte scene descritte ne Il pianista sono come le ricordavo: nella scena in cui il protagonista fugge dal treno e vede cose lasciate, effetti personali, tutto ciò è un ricordo che è indelebile. Anch'io andai nel ghetto per vedere se mio padre era lì e scoprii che il posto era vuoto. C'erano solo effetti personali. Un altro giorno, dovevo attraversare una strada con un mio amico. C'erano i tedeschi. La strada sarà stata larga 10 metri. Un tedesco mi disse: "Non correre. Cammina", altrimenti mi avrebbero sparato. Quella frase è impressa nei miei ricordi. La scena è rimasta nel film.

© Riproduzione riservata



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