Recensione film La migliore offerta, il voyeurismo sofisticato di Giuseppe Tornatore
Giuseppe Tornatore dirige La migliore offerta, con Geoffrey Rush e Sylvia Hoeks
Giuseppe Tornatore con La migliore offerta torna alle tematiche del pedinamento umano, usate già ne Il camorrista (1986), Malena (2000), La sconosciuta (2006)e interrotte con Baarìa (2009).
La storia è quella di Virgil Oldman (Geoffrey Rush), un uomo misogino che di professione è battitore d’aste e che si trova a valutare gli oggetti preziosi di Claire (Sylvia Hoeks). La proprietaria è invisibile, presente solo con la voce per ordinare le mansioni. Fino a quando l’uomo scopre che lei invece si trova nell’edificio, per una fobia che la fa rimanere reclusa.
La regia di Tornatore è ottima, capace di ancorarsi alla figura di Oldman senza mai stancare la sua postura, immerso tra statue ed eleganze viennesi. E lo stesso Jeffry Rush mostra una versatilità monumentale, che lo fa trascolorare dallo scontroso al sofferente dimesso.
La stessa fotografia aristocratica evoca il sogno di Tornatore di un futuro incerto, quanto quello in cui si trova Oldman. Che è poi la medesima incertezza di Maddalena Scordia in Malèna (2000) e di Irene ne La sconosciuta (2006). Oldman che contempla un quadro conserva la puerilità del tredicenne Renato Amoroso che osserva Monica Bellucci (Malèna) lavarsi con il limone, oppure Salvatore in Nuovo cinema Paradiso (1988) sbirciare le sequenze di baci nelle pellicole.
La dinamicità narrativa risente di questo punto di vista monotematico, troppo è concentrata la macchina da presa nel seguire il protagonista per non raccontare ciò che c’è intorno. Ma Tornatore sa ormai imbastire la trama con elementi eterogenei: la soavità della musica di Ennio Morricone, il costumi di Maurizio Millenotti. E il suo voyeurismo può solo presentire ad altre statuette.
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