Attraverso una recente sentenza, la n. 818 del 31 gennaio 2020, la Sez. V del Consiglio di Stato ha ribadito in maniera incisiva le caratteristiche del ricorso di ottemperanza ex art. 112 c.p.a. Quest’ultimo è il mezzo giuridico attraverso il quale una parte, risultata vittoriosa durante un contenzioso contro la P.A., ha la possibilità di far eseguire una sentenza, nel caso in cui il soggetto pubblico non abbia dato esecuzione alla stessa.
Ricordiamo che il Consiglio di Stato è il massimo organo giurisdizionale nel campo del diritto amministrativo, ha sede in Roma, ed esprime il secondo ed ultimo grado di giudizio nell'ambito del processo amministrativo. Si delinea come organo che verifica la legittimità e la correttezza degli atti amministrativi adottati dalle Amministrazioni centrali e locali, su iniziativa del soggetto privato.
La sentenza del Consiglio di Stato in questione, che ha definito come detto un ricorso per ottemperanza ex art. 112 c.p.a., è stata pronunciata su ricorso proposto dalla parte soccombente nel giudizio che aveva visto vittoriosa la parte difesa e assistita dal Prof. Vinti.
Chi può utilizzare lo strumento dell’azione di ottemperanza
Ma la pronuncia del Consiglio di Stato ha chiarito in maniera definitiva che lo strumento giuridico dell’azione di ottemperanza va utilizzato solo dal soggetto che è risultato vittorioso nel più recente giudizio. I giudici di Palazzo Spada hanno, infatti, espressamente statuito: “il Codice del processo amministrativo delinea il ricorso di ottemperanza come strumento che il soggetto che sia risultato vittorioso nel giudizio di cognizione o in altra procedura a questa equiparabile può utilizzare al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrativa di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato (Cons. Stato, Ad. plen., n. 2 del 2013; IV, 15 luglio 2019, n. 4946; 17 dicembre 2012, n. 6468)”. Hanno inoltre chiarito, che “le posizioni della parte soccombente e di quella vittoriosa nel giudizio di merito, ai fini della proposizione del giudizio di ottemperanza, non sono interscambiabili” in quanto, secondo un principio di portata generale, “nel giudizio di ottemperanza le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano in quello terminato con la pronuncia da ottemperare (IV, 25 giugno 2010, n. 4096), conclusione cui si perviene, del resto, anche considerando che l’interesse ad agire in sede di ottemperanza non è altro che un prolungamento in altra forma processuale dell’interesse ad agire che ha retto il giudizio di cognizione e che è stato valutato nella sentenza di cui si chiede l’ottemperanza ”.
Pertanto, il Consiglio di Stato ha dichiarato che il ricorso è da considerare inammissibile per carenza di legittimazione processuale della parte risultata soccombente nel giudizio di primo grado.
Chi può chiedere chiarimenti al giudice amministrativo
Per quanto concerne il ricorso per chiarimenti proposto dalla parte privata soccombente il Collegio né ha dichiarato l’inammissibilità. I giudici spiegano le ragione di una siffatta decisione, “perché proposta dalla parte privata soccombente nella sentenza della cui esecuzione si tratta, tenuto conto del principio per cui, di regola, solo l’amministrazione (o il commissario ad acta) ha l’iniziativa per eseguire la sentenza, e quindi essa sola (e non la parte vittoriosa in giudizio, e neanche, a maggior ragione, la parte soccombente) può richiedere specifici e puntuali chiarimenti al giudice (da ultimo, Cons. Stato, IV, n. 7089/2018, cit.) e soltanto ove strettamente necessario.”
Né, sempre secondo la pronuncia in esame, vale a sanare l’inammissibilità del ricorso, la volontà della P.A. di rimettere all’apprezzamento del Collegio ogni decisone sulla domanda proposta dalla ricorrente.
Il Collegio ha precisato che l’adesione prestata dall’Amministrazione in un atto di difesa depositato nell’ambito di una richiesta di chiarimenti - proposta da un soggetto non legittimato - non vale a sanare l’inammissibilità di quest’ultima.
In conclusione, i chiarimenti richiesti non evidenziavano elementi di dubbio o di non chiarezza del decisum relativo al subentro nel contratto di appalto in questione, essendo viceversa volti a stravolgerne il puntuale contenuto.
Il Consiglio di Stato ha, pertanto, sancito l’inammissibilità del ricorso proposto anche per quanto riguarda “un non consentito tentativo di orientare la futura azione amministrativa”, ricordando che l’art. 112, comma 5 c.p.a. “configura un potere di ‘interpretazione autentica’ del giudicato in capo al giudice amministrativo, ma non un potere di consulenza nei confronti delle parti e segnatamente nei confronti della parte pubblica (Cons. Stato, VI, 25 novembre 2012, n. 5469).”