Il caso di specie
Il T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 1745 del 14 febbraio 2022, ha respinto, dichiarandolo in parte infondato e in parte inammissibile, il ricorso introdotto dal RTI secondo in graduatoria e non aggiudicatario di un lotto relativo ad una procedura aperta indetta ai sensi dell’art. 60 del D. Lgs. n. 50/2016 e dell’art. 2, comma 2, della L. n. 120 del 2020. La procedura di gara era finalizzata all’affidamento di un accordo quadro.
All’esito delle attività di verifica condotte dal seggio di gara, la stazione appaltante inoltrava al RTI, poi risultato aggiudicatario, formale richiesta di integrazione/regolarizzazione delle dichiarazioni e degli elementi contenuti nelle domande di partecipazione, ravvisando una possibile causa di esclusione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice degli appalti. La ragione risiedeva nell’esistenza di una richiesta di rinvio a giudizio a carico dell’amministratore unico, socio di maggioranza e direttore tecnico della società mandante.
La documentazione prodotta dal RTI in questione era ritenuta non adeguata dal seggio di gara. Il T.A.R. Lazio ha così accolto le tesi sostenute dagli avvocati Prof. Stefano Vinti e Angelo Buongiorno.
Con preavviso di esclusione, la Stazione Appaltate comunicava all’operatore economico di poter proseguire il rapporto ove solo si fosse proceduto, ai sensi dell’art. 48, commi 18 e 19-ter del D. Lgs. n. 50/16, all’estromissione dell’impresa mandante dalla compagine del raggruppamento medesimo ovvero con la sostituzione della stessa con altra in possesso dei prescritti requisiti di legge per l’esecuzione dei lavori in appalto. Pena l’esclusione dalla gara. La mandante veniva quindi estromessa, il RTI ammesso e nelle more risultava aggiudicatario.
Secondo la ricorrente, la richiesta di rinvio a giudizio a carico dell’amministratore unico e socio di maggioranza della mandante, avrebbe necessariamente comportato l’esclusione del RTI aggiudicatario ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice appalti. La Stazione Appaltante, invece, consentendo l’estromissione della mandante dal raggruppamento, ancorché priva dei requisiti di moralità sin dall’epoca antecedente alla partecipazione alla gara oggetto dell’odierno giudizio, sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 48, co. 19 del Codice. La disposizione, salvo che per esigenze organizzative del raggruppamento, sembra escludere la modifica di uno dei componenti del RTI al fine di eludere la mancanza ab origine o la perdita in corso di gara dei requisiti di partecipazione di uno o più componenti della compagine associativa.
Per dirimere il primo motivo del ricorso, il TAR Lazio è tornato ad occuparsi delle vicende relative alla modificazione in senso riduttivo del raggruppamento temporaneo di imprese in corso di gara, in conseguenza della perdita dei requisiti di cui all’art. 80 in capo ad uno dei suoi componenti.
Il collegio ha fatto proprie le indicazioni fornite dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza del 20 gennaio 2022, n. 2, a valle della remissione ad opera dell’ordinanza n. 6959 del 18 ottobre della V sezione del Consiglio di Stato. L’Adunanza Plenaria aveva esplicitato che “la modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici) da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del medesimo Codice”. Da ciò ne consegue che “laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di partecipazione procedimentale, è tenuta ad interpellare il raggruppamento e, laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, provveda ad assegnare un congruo termine per la predetta riorganizzazione”.
Chiarito, dunque, che è certamente consentita una modifica del RTI per la perdita sopravvenuta, da parte di uno dei suoi componenti, di un requisito di qualificazione, si trattava quindi di stabilire se, nel caso in esame, potesse effettivamente dirsi che la perdita del requisito in capo alla mandante fosse sopravvenuta in corso di gara o se, viceversa, la perdita del requisito si debba essere fatta risalire alla richiesta di rinvio a giudizio.
L'onere della stazione appaltante
Il Collegio, ha ritenuto che la perdita del requisito di qualificazione in capo alla mandante si sia verificata nel momento in cui la stazione appaltante ha ravvisato, nei suoi confronti, la sussistenza di un “grave illecito professionale”, la cui comunicazione al RTI poi aggiudicatario, ha comportato la modificazione di cui sopra.
La tesi opposta, che farebbe retroagire la perdita del requisito al momento della commissione del “fatto storico”, poi qualificato dall’Amministrazione in termini di grave illecito professionale, ad avviso del Collegio, troverebbe un ostacolo nel tenore letterale dell’articolo 80, comma 5, lett. c) del Codice appalti.
È infatti onere della Stazione Appaltante, dimostrare, con mezzi adeguati, che il comportamento del concorrente sia qualificabile, per l’appunto, quale grave illecito professionale. L’ordinamento incardina questa valutazione come estremamente discrezionale, ben potendo uno stesso comportamento essere o meno considerato come grave illecito professionale a seconda delle diverse e specifiche procedure di appalto. I giudici nel dispositivo chiariscono che “non vi è alcuna ragione per far retroagire gli effetti di tale valutazione al momento della commissione del fatto; e ciò in quanto il fatto contestato, per come è stato chiarito, solo nella valutazione dell’amministrazione (e proprio per effetto di essa) assume la connotazione di “illecito” (peraltro solo in relazione alla specifica procedura di gara)”.
Con il secondo motivo di ricorso il RTI ricorrente sosteneva che la stazione appaltante sarebbe stata tenuta all’esclusione dalla gara del RTI aggiudicatario in quanto lo stesso non aveva comunicato già ab initio l’esistenza della richiesta di rinvio a giudizio in capo all’organo di vertice della società mandante.
Il secondo motivo del ricorso è stato ritenuto, tuttavia, infondato laddove volto a sostenere che il RTI aggiudicatario avesse rilasciato una dichiarazione non veritiera (che avrebbe imposto l’esclusione automatica della gara dell’intero RTI), in quanto tale omissione dichiarativa, come chiarito, non rileva come falso secondo la pronuncia della A.P. n. 16 del 2020. Tale motivo si è rivelato, invece, inammissibile nella parte in cui era finalizzato a determinare l’esclusione dalla gara del RTI per un illecito professionale diverso da quello individuato dalla Stazione Appaltante.