La
circolarità logica del diritto amministrativo: decostruire concetti
per ordinare frammenti
è un volume a cura del Prof. Avv. Stefano Vinti che illustra come il
diritto amministrativo viva spesso di incongruenze, nate dalla
difficile distinzione del concetto di “pubblico” e “privato”.
Il primo capitolo del volume affronta il tema legato ai precari confini tra questi due termini e se sia ancora utile interrogarsi sul senso della loro distinzione.
L'autore pone risalto sul fatto che un elemento che ha contribuito a complicare il quadro di tale distinzione è rappresentato dalla carica ideologica che le formule “diritto privato” e “diritto pubblico” hanno assunto nel tempo.
I pensatori nazisti e fascisti – mossi dalla deliberazione del Comitato italo-germanico - negli anni del ventennio fascista ripudiavano qualsiasi forma di distinzione tra diritto privato e diritto pubblico in quanto tale dicotomia esprimeva il contrasto fra comunità ed individuo, fra Stato e società.
Al contrario i giuristi di ispirazione comunista riproponevano la distinzione come antidoto ai rischi di totalitarismo.
Nel diritto romano, invece, tale rapporto dicotomico non era affatto pacifico. Cicerone – come sottolineato nel capitolo - profilava lo ius civile come comprensivo della materia privatistica e pubblicistica, affermando una sostanziale equivalenza tra universum ius e civile ius.
L'autore, nel primo capitolo, giunge alla conclusione che il concetto di diritto “pubblico” viene identificato nell’ordinamento di spettanza dell’Amministrazione pubblica secondo l'equazione per cui «è pubblico tutto ciò che, direttamente o indirettamente, è di Stato». Ma quest’assimilazione appare oggi priva di contenuto scientifico e di qualsivoglia utilità concreta.
Si
prosegue analizzando le forme di ibridazione soggettiva, con i
paradossi delle società pubbliche che ne sorgono.
In
tal senso nelle società partecipate dalle Amministrazioni emerge
spesso il problema della convivenza tra le finalità pubblicistiche e
lo scopo lucrativo, un dilemma che si è acuito assistendo a una
fitta proliferazione di teorie e classificazioni. Tra queste,
tralasciando le numerose tesi intermedie, si possono individuare due
macro orientamenti. Il
primo predicava il superamento dello scopo lucrativo ai fini di
garantire il perseguimento degli interessi pubblici.
Il
secondo, invece, sosteneva la necessità della P.A. che faccia uso
dello schema societario, di rispettare la finalità lucrativa, al
fine di tutelare i soci privati parte della società stessa.
Nel
capitolo terzo dove viene affrontato il tema relativo alla mancata
categoria delle società pubbliche fino al fenomeno dell’autopoiesi
delle stesse, inteso come capacità di quest’ultime di
autogenerarsi tramite l’adozione di provvedimenti amministrativi
anziché legislativi, sviluppando, in tal senso, una capacità
“originaria” analoga alla generale autonomia privatistica.
Inoltre,
nel capitolo in esame, viene analizzato il problema legato alla
presenza di soci pubblici nella società.
Tale presenza può determinare una serie di condizionamenti dell’autonomia negoziale di cui gode la società partecipata, che possono interferire con il reclutamento del personale, con le modalità di scelta dei vari contraenti, con il tipo di verifiche che la società è tenuta a svolgere sui creditori prima di liquidare i propri debiti. Anche sui compensi e sul numero degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo, sul tipo di responsabilità cui essi sono sottoposti fino a toccare, secondo parte della dottrina, la stessa assoggettabilità della società a fallimento e ad altre procedure concorsuali.
Si passa
nel capitolo quarto ad affrontare il problema collegato dei soggetti
privati che esercitano funzioni amministrative. Quest’ultimi,
infatti, non si limitano più ad esercitare funzioni amministrative
nella titolarità di soggetti pubblici, ma diventano essi stessi
titolari dell’esercizio di pubbliche funzioni. Dunque, se i privati
possono essere titolari di funzioni amministrative si giunge ad
ammettere una sostanziale fungibilità tra soggetti privati e
soggetti pubblici. Non sono tuttavia mancate voci di segno contrario.
Da
un lato, autorevole dottrina, negava che si potessero configurare
atti amministrativi emanati da soggetti privati in ossequio alla
tradizionale teoria del provvedimento amministrativo.
Dall’altro
lato, sul versante della tutela giurisdizionale, parte della dottrina
negava la configurabilità di un rapporto giuridico amministrativo
tutalabile ed azionabile dinanzi all’organo giudicante, laddove una
almeno delle parti non fosse la P.A. strictu
sensu
intesa.
Infine
nell’ultimo capitolo, si affronta la teoria della circolarità
logica del diritto amministrativo.
L’autore
constata come i tre capisaldi su cui poggia l’autonomia del diritto
amministrativo, ossia: la separazione tra P.A. e gli altri poteri
statali, la necessità di una materia amministrativa disciplinata da
norme proprie ed infine, la necessità che tali norme costituiscano
un insieme organico del diritto amministrativo, sono definitivamente
in crisi.
L’autore conclude dichiarando come i tradizionali fondamenti del diritto amministrativo (discrezionalità, l’interesse pubblico e la contrapposizione norme di azione e relazione) sono privi di un supporto dogmatico ed interpretativo solido e i richiami con cui si tenta di spiegare l’una categoria per mezzo dell’altra appaiono puramente “circolari”.