Il diritto amministrativo e il diritto pubblico: un volume dell'Avvocato Stefano Vinti analizza le differenze

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Il diritto amministrativo e il diritto pubblico: un volume dell'Avvocato Stefano Vinti analizza le differenze
19-10-2020

La circolarità logica del diritto amministrativo: decostruire concetti per ordinare frammenti è un volume a cura del Prof. Avv. Stefano Vinti che illustra come il diritto amministrativo viva spesso di incongruenze, nate dalla difficile distinzione del concetto di “pubblico” e “privato”.

Il primo capitolo del volume affronta il tema legato ai precari confini tra questi due termini e se sia ancora utile interrogarsi sul senso della loro distinzione.

L'autore pone risalto sul fatto che un elemento che ha contribuito a complicare il quadro di tale distinzione è rappresentato dalla carica ideologica che le formule “diritto privato” e “diritto pubblico” hanno assunto nel tempo.

I pensatori nazisti e fascisti – mossi dalla deliberazione del Comitato italo-germanico - negli anni del ventennio fascista ripudiavano qualsiasi forma di distinzione tra diritto privato e diritto pubblico in quanto tale dicotomia esprimeva il contrasto fra comunità ed individuo, fra Stato e società.

Al contrario i giuristi di ispirazione comunista riproponevano la distinzione come antidoto ai rischi di totalitarismo.

Nel diritto romano, invece, tale rapporto dicotomico non era affatto pacifico. Cicerone – come sottolineato nel capitolo - profilava lo ius civile come comprensivo della materia privatistica e pubblicistica, affermando una sostanziale equivalenza tra universum ius e civile ius.

L'autore, nel primo capitolo, giunge alla conclusione che il concetto di diritto “pubblico” viene identificato nell’ordinamento di spettanza dell’Amministrazione pubblica secondo l'equazione per cui «è pubblico tutto ciò che, direttamente o indirettamente, è di Stato». Ma quest’assimilazione appare oggi priva di contenuto scientifico e di qualsivoglia utilità concreta.

Si prosegue analizzando le forme di ibridazione soggettiva, con i paradossi delle società pubbliche che ne sorgono.
In tal senso nelle società partecipate dalle Amministrazioni emerge spesso il problema della convivenza tra le finalità pubblicistiche e lo scopo lucrativo, un dilemma che si è acuito assistendo a una fitta proliferazione di teorie e classificazioni. Tra queste, tralasciando le numerose tesi intermedie, si possono individuare due macro orientamenti. Il primo predicava il superamento dello scopo lucrativo ai fini di garantire il perseguimento degli interessi pubblici.
Il secondo, invece, sosteneva la necessità della P.A. che faccia uso dello schema societario, di rispettare la finalità lucrativa, al fine di tutelare i soci privati parte della società stessa.

Nel capitolo terzo dove viene affrontato il tema relativo alla mancata categoria delle società pubbliche fino al fenomeno dell’autopoiesi delle stesse, inteso come capacità di quest’ultime di autogenerarsi tramite l’adozione di provvedimenti amministrativi anziché legislativi, sviluppando, in tal senso, una capacità “originaria” analoga alla generale autonomia privatistica.
Inoltre, nel capitolo in esame, viene analizzato il problema legato alla presenza di soci pubblici nella società.

Tale presenza può determinare una serie di condizionamenti dell’autonomia negoziale di cui gode la società partecipata, che possono interferire con il reclutamento del personale, con le modalità di scelta dei vari contraenti, con il tipo di verifiche che la società è tenuta a svolgere sui creditori prima di liquidare i propri debiti. Anche sui compensi e sul numero degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo, sul tipo di responsabilità cui essi sono sottoposti fino a toccare, secondo parte della dottrina, la stessa assoggettabilità della società a fallimento e ad altre procedure concorsuali.

Si passa nel capitolo quarto ad affrontare il problema collegato dei soggetti privati che esercitano funzioni amministrative. Quest’ultimi, infatti, non si limitano più ad esercitare funzioni amministrative nella titolarità di soggetti pubblici, ma diventano essi stessi titolari dell’esercizio di pubbliche funzioni. Dunque, se i privati possono essere titolari di funzioni amministrative si giunge ad ammettere una sostanziale fungibilità tra soggetti privati e soggetti pubblici. Non sono tuttavia mancate voci di segno contrario.
Da un lato, autorevole dottrina, negava che si potessero configurare atti amministrativi emanati da soggetti privati in ossequio alla tradizionale teoria del provvedimento amministrativo.
Dall’altro lato, sul versante della tutela giurisdizionale, parte della dottrina negava la configurabilità di un rapporto giuridico amministrativo tutalabile ed azionabile dinanzi all’organo giudicante, laddove una almeno delle parti non fosse la P.A. strictu sensu intesa.

Infine nell’ultimo capitolo, si affronta la teoria della circolarità logica del diritto amministrativo.
L’autore constata come i tre capisaldi su cui poggia l’autonomia del diritto amministrativo, ossia: la separazione tra P.A. e gli altri poteri statali, la necessità di una materia amministrativa disciplinata da norme proprie ed infine, la necessità che tali norme costituiscano un insieme organico del diritto amministrativo, sono definitivamente in crisi.

L’autore conclude dichiarando come i tradizionali fondamenti del diritto amministrativo (discrezionalità, l’interesse pubblico e la contrapposizione norme di azione e relazione) sono privi di un supporto dogmatico ed interpretativo solido e i richiami con cui si tenta di spiegare l’una categoria per mezzo dell’altra appaiono puramente “circolari”.


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