Cinema e pittura, la parola alle immagini da Dreyer a Quentin Tarantino
Cinema / News - 08 February 2016 07:00
Il cinema ha spesso attinto alle immagini della pittura: da Carl Theodor Dreyer a Stanley Kubrick, da Quentin Tarantino a Alejandro González Iñárritu.
Molti registi come esempio per le loro inquadrature scelgono di usare dei quadri: le parole inquadratura e quadro derivano dalla stessa, 'quattro', ossia i quattro lati di cui sono composti.
Esempi lampanti sono le immagini del protagonista di “Mamma Roma” di Pasolini e “Il Cristo morto” di Mantegna, il bacio dei protagonisti di “Senso” di Luchino Visconti e “Il bacio” di Hayez.
In questo caso i registi che non hanno affermato in maniera esplicita di avere emulato il quadro ma lasciano allo spettatore la possibilità di cogliere la somiglianza. Le linee sono identiche, i colori, la disposizione delle figure.
Ejzenstejn in “Que viva Mexico” usa uno scheletro ripreso dai disegni di Guadalupe Posada, Carl Theodor Dreyer nella scena spettrale degli inquisitori in “Dies Irae” riprende “Il dottor Nicolaes Tulp dimostra l'anatomia del braccio” di Rembrandt.
Ancora Pasolini che nella scena in cui si depone Cristo ne “La ricotta” riprende “La deposizione” di Pontormo, Renato Castellani per il volto di Giulietta in “Giulietta e Romeo” riprende “l’Annunciazione" di Leonardo Da Vinci. I due maestri del cinema italiano degli anni ‘60, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni oscillano dalla classicità alla contemporaneità. “La Gioconda” di Leonardo è emulata per la postura da Claudia Cardinale in “8 1/2” di Fellini. Piet Mondrian con i quadri de “Die ideale Wirklichkeit” ispira “Deserto rosso” di Antonioni.
Addirittura la Walt Disney non è immune da queste raffigurazioni: la fuga di Biancaneve nella foresta in “Biancaneve” di David Hand riprende “La foresta dantesca” di Doré. In Giappone, Oshima e Kurosawa riprendono le stampe giapponesi. “La ragazza con l'orecchino di perla”, film di Peter Webber è un caso dichiarato di imitazione del quadro di Vermeer.
Oltre che un gusto citazionistico ce n’è uno formale, esplicitato dalla capacità di far restare lo spettatore i uno stato immobilità emotiva. Un caso è Stanley Kubrick: lui stesso ha ammesso che prima di girare un film si lascia condizionare dalla pittura. Barry Lyndon nell'omonimo film è ripreso nei costumi da un quadro di Joshua Reynolds, Lady Barry Lyndon da “Lady Gheffiield” di Thomas Gainsborough.
Il viaggio verso l'infinito in “2001 Odissea nello spazio” riprende la Optical-Art; in “Arancia meccanica” le donne trasformate in sedie del Korowa Milk Bar sono identiche alle sculture di Henry Moore, il fallo di gesso è uguale al “Princess” di Constantin Brâncuși.
In “Shining” gli esterni e interni dell'Overlook Hotel sono identici alle architetture di Lloyd Wright. In “Eyes wide shut” i colori a contrasto riprendono la pop-art, le maschere nella scena dell'orgia e sul letto di Nicole Kidman emulano quelle macabre nei quadri del belga James Ensor.
Kubrick è il caso estremo di citazionismo, a scopo di resa iconografica. I quadri presenti in “Eyes wid shut” sono della moglie di Kubrick, forse la scelta meno felice.
L'unico caso di donna del cinema che ha ispirato un quadro è Marilyn Monroe, che ha ispirato Andy Warhol dipingendola più volte, come Elizabeth Taylor.
Più recentemente alcuni film che hanno bisogno di creare un impatto emotivo notevole, essendo carenti di effetti speciali si rifanno alla pittrua. Alcune scene della “Passione di Cristo” di Mel Gibson sono riprese da Caravaggio.
Quentin Tarantino in scene di “Pulp Fiction” attinge dalla pittura contemporanea americana, come “Nighthawks” (“I nottambuli”) di Edward Hopper. Registi con una forte carica espressiva cercano di far parlare l'immagine senza l'aiuto dei dialoghi dei personaggi. In Pulp Fiction l'artificiosità della vita quasi da Cartoon, in Gibson la degradazione del corpo.
Alejandro González Iñárritu in “Birdman” assume come ispirazione “L'uomo con la bombetta” (1964) di René Magritte, per la scena del volatile che incede sul capo dell’uomo.
Tarantino in “The Hateful Height” riprende in maniera spiazzante Claude Monet di “La charrette. Route sous la neige à Honfleur”, in paesaggi nevosi.
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