Beirut Film Festival, la libertà di proiettare film: intervista alla direttrice Colette Naufal

Cinema / Festival / News - 22 September 2016 11:39

Mauxa ha intervistato Colette Naufal, direttrice del Beirut International Film Festival.

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Il Beirut International Film Festival è il più importante evento cinematografico del Libano. Quest’anno giunge alla sedicesima edizione, e per capacità espressiva e sociale si pone come un traino di connessione tra cultura occidentale ed orientale.

Mauxa ha intervistato la direttrice del Festival, Colette Naufal.

D. Colette, quali film avete selezionato quest’anno?

Colette Naufal. Abbiamo una sezione che noi chiamiamo Rejection Front, che è una piattaforma per i giovani registi che hanno un messaggio da inviare. E quest'anno questi film rispecchiano la situazione disastrosa in tutto il mondo: la migrazione, la povertà, il traffico di esseri umani, schiavitù sessuale, LGBT, la violenza civile, che include il fatto di gettare acido sui volti femminili. Il commercio di organi, l’ISIS, la guerra siriana e ogni singolo soggetto di cui sentiamo parlare nelle notizie.

Quest’anno il festival aprirà con un film molto atteso, “La ragazza del treno” (”The Girl on the Train”) di Tate Taylor con Emily Blunt, Haley Bennett, Rebecca Ferguson e Luke Evans, tratto dal best-seller di Paula Hawkin.

D. La selezione prevede film italiani?

C. N. Sì, c’è il film “Fai bei sogni” di Marco Bellocchio tratto dal romanzo di Massimo Gramellini. Poi “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, sulla situazione di Lampedusa. Infine “My Name Is Adil" Adil Azzab, storia vera di un bambino cresciuto in Marocco e che a tredici anni raggiunge il padre emigrato in Italia.

D. Il Festival si è molto ampliato negli anni. Come è accaduto questo passaggio?

C. N. Abbiamo iniziato con un piccolo festival incentrato sul cinema libanese, con una sezione internazionale non competitiva. Dopo tre anni ci siamo resi conto che non c'era abbastanza produzione dal Libano, così nel 2001 abbiamo trasformato la competizione in regionale includendo l'Iran e la Turchia, anche se il resto della regione ancora una volta non aveva le caratteristiche di qualità sufficiente con uscite annuali di film.
E dal momento che la Siria ha chiuso la sua occupazione nel 2005, abbiamo iniziato a vedere maggiore indulgenza con la censura: ciò ha iniziato a far intendere i film come messaggio.
Dall'inizio della  primavera araba nel 2011, questa sezione è cresciuta enormemente ed è diventato un grande sezione. Tre anni fa è nata appunto Rejection Front, estendendosi in tre segmenti: Public Square (come Speakers Corner in Hyde Park), Culinary e Environment/Ecology.
Il festival si è così fatto conoscere nel Libano come l’unico che ha la libertà di proiettare film, per questo riceviamo diverse centinaia ogni anno in questa sezione.

D. Qual è il rapporto della popolazione di Beirut con la cultura: cinema, teatro, arte, musica, libri?

C. N. Sareste sorpresi di sapere come i libanesi siano radicati nella cultura. La cultura è nel sangue del Libano, perché siamo circondati da antichità, abbiamo alcuni dei siti più antichi del mondo a partire dai Fenici. Il Libano, per via della sua base cristiana  fornì l’educazione in tal senso (oltre 350 anni), mentre nella regione non vi erano scuole.
E vi è una miscela di 18 diverse sette religiose. La scena culturale in Libano è molto vivace. Credo che questo sia l'unico settore che sta lavorando. Qui si svolgono dai festival d’arte a quelli internazionali, ci sono musei di tutti i tipi, molti eventi culturali durante tutto l’anno.

D. Allora dobbiamo sapere la prima ragione per visitare Beirut?

C. N. Il cibo, il cibo. Poi la bellezza del paese, tutti i siti antichi dei fenici, romani, grechi, ottomani. E ultimo, ma non meno importante la vibrante e vivace vita meravigliosa di notte.

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