Il cinema specchio della mente, i neuroni mirror e la cinematerapia: l'intervista

Cinema / Intervista - 11 October 2008 10:15

I neuroni specchio sono alla base dell'empatia cinematografica. Il neurochirurgo Luigi Giannachi ne spiega il motivo.

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Luigi Giannachi, neurochirurgo milanese con la passione per il cinema, ha scritto diverse sceneggiature. Sotto l'aspetto teorico ha enucleato la sua teoria sui neuroni mirror che influenzano lo spettatore cinematografico.

D. Cosa sono i neuroni mirror?
R. Sono neuroni in diverse aree cerebrali dei primati (uomo e scimmia per intendersi) che in ciascun individuo si attivano in risposta all'osservazione di un'azione o al riconoscimento di un'emozione. E' una scoperta effettuata più di dieci anni fa in Italia, essa può sembrare apparentemente banale (forse chiunque di noi ha pensato che potessero esistere simili attività nel nostro cervello) in quanto sembrano spiegare fenomeni noti come l'empatia e la capacità di imitazione motoria, in realtà nessuno prima aveva mai provato la presenza in aree non cognitive di simili attività neuronali quando l'individuo non fa nient'altro che osservare. Tale scoperta può comportare potenziali evoluzioni nello studio di aree considerate lontane fra loro come la psicologia, l'antropologia, le scienze cognitive, l'apprendimento cognitivo ed emotivo.


D. il cinema più è spettacolare più alletta i nostri sensi?
R. Il cinema è uno spettacolo audio-visivo grandioso, anche quando vuole raccontare storie semplici. Mi interessano molto le diverse modalità con cui gli autori riescono a coinvolgere gli spettatori all'interno della loro storia. Attenzione: gli spettatori non devono pensare che la storia raccontata sia vera, anzi sanno benissimo che non lo è, ma accettano le condizioni di gioco fornite e la parvenza del verosimile. "Potrebbe accadere?"
La realtà è più strana di qualunque storia l'uomo possa mai inventare, ma talora può essere così noiosa che non merita di essere raccontata. Quindi il cinema deve essere necessariamente uno spettacolo, deve stupire, meravigliare, forse provocare e poi raccontare quello di cui non ci accorgiamo, perchè siamo presi dagli accadimenti e dalle pressioni della vita personale.
E' meraviglioso il modo in cui il cinema riesce a coinvolgere i nostri sensi, prima in maniera graduale attraverso piccole suggestioni, poi immettendoci in un genere riconosciuto dal nostro sistema emotivo (commedia, horror, fantastico, romantico). Ad un certo punto ci lasciamo guidare dentro questo luna-park e siamo tentati di indovinare cosa succede nella scena successiva.

Alcuni registi per esempio Kubrick, in piccole sequenze, ha inserito dei fotogrammi subliminali che arrivano al livello subcosciente. Se ne è parlato in realtà molti anni fa, venti, trenta anni fa, pensando che il cinema fosse un mezzo per la pubblicità. In realtà lo sappiamo tutti, la pubblicità ha fatto passi da gigante quindi non c’è più bisogno di questi mezzi. In realtà però il fatto d’inserire dei frames è un mezzo che il regista può usare, in una sequenza che a livello subliminale in realtà ci porta già a condividere le emozioni, le azioni del protagonista.

D. Tu a Milano svolgi dei corsi di cinematerapia, ma sei anche scrittore. Il rapporto tra cinema e salute dove pensi che sia più denso: nel momento in cui si crea una storia e ci si sfoga dei propri complessi, oppure quando si vede un film e si prova una catarsi?
R. C'è un'organizzazione con esperienza pluriennale che si occupa di teatroterapia, in via Cezanne 3 a Milano. Il loro sito è nonchiamateciattori.it. Io li ho invitati a creare insieme degli incontri sul cinema. A me piace il termine di Movie Counselling, perché più che una terapia vera e propria la considero in questi termini: le dinamiche narrative di una storia cinematografica possono stimolare un percorso interiore profondo di riscoperta del proprio Io e del mondo che ci circonda. Se poi questo percorso porta a migliorare le performance personali e i rapporti con gli altri, oppure comporta una migliore comprensione di se stessi e dei propri disturbi psico-fisici ben venga, ma non è possibile dare una garanzia, dipende molto da quanto ciascun partecipante ha voglia di confrontarsi e di capire gli altri.
L'empatia, questo termine greco difficile da esprimere ma facile da capire, è un po' conosciuta da tutti e un po' dimenticata da tutti.
Credo siano interessanti entrambi gli aspetti, sia l'apertura mentale che è percepibile in chi crea un'opera d'arte, sia l'emozione che dà la fruizione di un'opera artistica. Apparentemente nel primo caso c'è un'elaborazione più attiva, ma è proprio la teoria dei neuroni specchio che mi porta a dire che in fondo non si è mai veramente passivi.



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